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I Mestieri de na volta nel Veneto scomparso

Mestieri in gran parte legati al mondo agricolo svolti da specialisti veri e propri che si spostavano di borgo in borgo, da fattoria a fattoria. Sarebbe bello che se ne tramandasse la memoria ai nostri ragazzi, perché chi ha i capelli grigi o bianchi da quel mondo molto spesso proviene e quel mondo è anche l’artefice del “miracolo veneto” di oggi. La mentalità e l’amore per il lavoro ben fatto, il rispetto per la fatica propria e degli altri (padrone e dipendenti visti come una famiglia), un senso di religiosità diffusa (che ora si va attenuando) deriva da quelle radici. Eccone un primo piccolo parziale elenco:

“Gente che si muoveva di paese in paese, di boaria in boaria  e che portava con sé il proprio lavoro. Erano tanti e la loro attività integrava il cerchio di economie chiuse.
Il carér  (carradore) si spostava frequentemente dalla sua officina segnata da una ruota sopra la porta di ingresso, per riparare ruote e veicoli campestri, o anche per costruire sul posto il carro che gli era stato ordinato.

Lasciava spesso la sua bottega anche il marescalco specializzato nella ferratura di buoi e cavalli o il
botaro che aggiustava le doghe o il fondo delle botti.
Tipicamente stagionali erano i lavori del masciaro o mazin (l’ammazza maiali) e del salader o saladaro, il norcino. Spesso queste attività erano eseguite dalla stessa persona, un contadino che, non avendo molta terra, si era specializzato in questo lavoro per arrotondar ei magri guadagni. Il masciaro e il saladaro lavoravano a pieno ritmo per tutta la bécaria del porsel che andava nel Trevigiano dal giorno di San Tommaso Becket agli ultimi giorni di carnevale e nel veronese dal giorno di Santa Lucia a Natale.

Dopo la mietitura, prima delle trebbiatrici, si presentavano nei cortili dei contadini i batarini esperti nel tibiar formento, con i loro batadori. Nel trevigiano erano specializzati in questo duro lavoro i vedegalesi che usavano in genere un cavallo trainante una scala gravata da pesi.
Sempre d’estate scendevano dalle valli montane  e pedemontane i segantini che sfalciavano le messi nelle grandi boerie, muniti di falce e cote.


In autunno le gratarole sgranavano le pannocchie passando di casa in casa, con la loro grattugia di legno munita di punte di selce: contemporaneamente arrivavano i petinini che cardavano la lana e la canapa che le donne avebbero poi filato nelle lunghe notti invernali. Proprio come 3000 anni prima facevano le antenate paleo venete.


A novembre era la volta del gripolaro per raccogliere la feccia delle botti sopra il suo carretto trainato da un asino; acquistava anche le vinacce per rivenderle alle distillerie. Tornato a casa depurava la gripola dal vino, la seccava, la riduceva in polvere e la portava alle cantine sociali. Il suo lavoro era molto intenso da luglio a settembre quando doveva liberare le parti interne delle botti dal tartaro, un prodotto assai ricercato per la conservazione dei cibi e per la fabbricazione dei lieviti.

 

Di Millo Bozzolan

Fonte: https://dalvenetoalmondoblog.blogspot.it


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