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Alla scoperta dei PALEOVENETI – gli antichi nostri progenitori

ORIGINE

Sempre, quando si parla di antiche popolazioni, ci troviamo di fronte ad una serie di dati e documenti che dobbiamo trattare con attenzione ed intelligenza. Importante anche conoscere sia gli uni sia gli altri, sapendo che nel primo caso veniamo a conoscere quello che “si raccontava”, “si tramandava”, “si credeva”; nel secondo caso invece possiamo disporre d’informazioni vere, reali, concrete. Anche nel caso dei veneti disponiamo d’informazioni certe e di conoscenze incerte. Vediamo allora di illustrare con ordine le une e le altre, iniziando da quelle meno sicure. Per ricostruire le origini della popolazione veneta dobbiamo intanto immaginare un mondo, naturalmente molto diverso dal nostro attuale, nel quale gli uomini erano un po’ come… le api. Quando in un alveare si trovano insieme due api regine, una delle due spicca il volo seguita da una parte delle api e se ne va in un altro luogo: nasce un nuovo alveare, vale a dire un nuovo ” popolo”. Questo succedeva piuttosto di frequente anche tra gli uomini del tempo nel quale possiamo collocare l’origine dei Veneti.
Un gruppo di famiglie, una tribù, un nucleo di popolazione partiva dal luogo nel quale abitava e compiva un viaggio avventuroso, fino a giungere in una località dove poteva fissare la propria nuova dimora. Anche i Veneti furono una popolazione migrante.
Tutti gli antichi autori concordano nel ritenere che questo popolo, chiamato Veneti dai Romani e Heneti dai Greci sia giunto in questo territorio provenendo dal medio oriente.
Si narra che veniva dalla Paflagonia, una regione dell’Asia Minore (attuale Turchia) compresa tra la Bitinia ed il Mar Nero.
Come mai essi lasciarono il loro territorio d’origine? Ebbene, questo non possiamo saperlo con precisione. Probabilmente a causa di una sedizione un forte numero di Veneti, guidato dal re Pilemene, fuggì alla ricerca di nuovi territori nei quali potersi insediare.

Proprio in quegli anni però infuriava la guerra di Troia. Tito Livio racconta che essi giunsero nella zona in cui si combatteva la guerra e si schierarono a fianco dei Troiani, i quali ormai furono sconfitti. Allora vari gruppi Troiani e i Veneti superstiti fuggirono, guidati dal principe troiano Antenore. Superato con una flotta il mare Egeo, risalirono l’Adriatico fino a gettare le ancore in un punto della costa a nord delle foci del Po e dell’Adige. I Veneti trovarono che la regione ove il destino li aveva condotti era assai accogliente; decisero così di fissarvi le proprie dimore in modo stabile e definitivo.

I Veneti si sono stabiliti in un territorio molto esteso che corrisponde all’incirca alle attuali Tre Venezie: Trentino-Alto-Adige, Veneto, Friuli-Venezia-Giulia. È un territorio molto ampio che ha un paesaggio geografico molto vario. A nord ci sono le Alpi. La catena alpina, con le alte cime ed i ghiacciai, sembra invalicabile ma, tra le sue valli e suoi passi, nasconde antiche “piste” che seguono il corso dei fiumi, conosciute e percorse già prima dell’arrivo dei Veneti. Risalendo il corso del fiume Adige, i Veneti potevano arrivare al Valico del Brennero e al Passo di Resia. Risalendo il corso del Piave potevano arrivare alle miniere di stagno. Al centro di questo ampio territorio si estende la pianura ricca di fiumi. Ci sono l’Adige, il Brenta, il Piave, il Tagliamento e il Po, fiumi lunghi e ricchi di acque che scendono dalle Alpi, e il Sile che ha origine dalle risorgive cioè sorgenti da cui l’acqua esce spontaneamente dal terreno. La pianura è divisa, dalla linea delle acque di risorgiva, in alta pianura, quella più vicina ai monti, ghiaiosa ed asciutta, e in bassa pianura con il terreno ricco di acque ed argilloso. Il paesaggio dell’alta pianura era ricco di foreste con alberi maestosi e centenari, tra cui le querce, gli olmi e i faggi. A sud questa regione si affaccia al mare con la laguna, gli isolotti, le paludi e i canneti. È quasi certo che i Veneti antichi si sono insediati in questo territorio perché era un territorio molto fertile. Era ricco d’acqua, era pianeggiante e aveva molti passaggi tra le montagne che i Veneti potevano usare, se volevano raggiungere luoghi lontani, per scambiare i loro prodotti con gli altri popoli. La civiltà dei Veneti antichi durò circa mille anni. Iniziò tra il X e il IX secolo a.C. (=avanti Cristo) e terminò nel II secolo a.C. quando avvenne la romanizzazione, cioè quando i Veneti diventarono simili ai Romani per lingua, costumi e abitudini. La civiltà dei Veneti fu scoperta nel 1876 durante i lavori di scavo per la costruzione della stazione ferroviaria di Este (Padova).
I veneti usavano deporre le tombe dei loro morti all’esterno delle aree abitate, come fu regola quasi generale del mondo antico. I gruppi di tombe erano dapprima radi e distanti tra loro perché corrispondevano a diversi gruppi di capanne. Con il passare del tempo e con l’aumento del numero degli abitanti, le tombe s’infittirono costituendo delle vere e proprie necropoli (“città dei morti”) che contornavano o si affiancavano ai centri che si erano formati per l’aggregarsi di diversi nuclei di abitazioni. In alcuni casi pare di poter distinguere più necropoli, corrispondenti forse a diversi “quartieri”. Il tipo e la struttura delle tombe variano nel tempo e presentano caratteristiche diverse da luogo a luogo, anche in rapporto ai diversi materiali usati per la loro costruzione.

Le tombe più antiche erano deposte in una semplice buca scavata nel terreno.
Dalla seconda metà dell’VIII secolo a.C. i resti del defunto e i materiali di corredo furono deposti, perché fossero più protetti, in cassette di lastre di pietra.
Dal VI secolo a.C. all’uso delle cassette di pietra si affianca quello di cassette di tavole lignee o di grandi vasi di terracotta (“dolii”). Continua sempre in ogni caso, anche se diviene via via più raro, l’uso delle semplici buche, generalmente per sepolture più modeste.
All’esterno la presenza delle tombe doveva essere “segnalata” in vario modo: da piccoli tumuli di terreno, da ciottoloni, da massi di pietrame e, dal VI secolo a.C. in poi, da segnacoli di pietra con il nome del defunto, riservati forse alle tombe più importanti. Non si può escludere che venissero anche usati dei segnacoli di legno o d’altro materiale deperibile di cui quindi non è rimasta traccia. Le tombe più antiche contenevano in genere i resti di un solo defunto; gruppi di tombe singole, molto vicine tra loro o contenenti materiali molto simili, dovevano corrispondere a diversi raggruppamenti familiari. In seguito le cassette contengono molto frequentemente più ossuari, certo pertinenti a persone della stessa famiglia, deposte in momenti successivi. In genere il numero degli ossuari sembra corrispondere ad un nucleo familiare ristretto, composto cioè dai genitori e dai figli. A partire dal III secolo a.C. ad Este le cassette vennero talvolta ampliate nella loro struttura con la aggiunta di nuove lastre per accogliere defunti di più generazioni, costituendo così delle vere e proprie tombe di famiglia, come è evidente anche dalle iscrizioni che compaiono sugli ossuari, con gli stessi nomi familiari.

RELIGIONE

I Veneti antichi consideravano gli elementi naturali come elementi sacri.
Uno di questi elementi era l’acqua. Era considerata sacra ed era usata come oggetto di culto, infatti attorno ai santuari (=templi) c’era spesso un corso d’acqua.
Un altro elemento sacro erano le piante. I Veneti antichi credevano che le piante fossero abitate da divinità protettrici del luogo. I Veneti adoravano più di una divinità, tra queste la principale era Reitia, chiamata anche Pora.
Reitia era la divinità portatrice di salute, signora della natura, protettrice delle nascite e dea della fertilità, per questo era venerata soprattutto dalle donne.
La dea Reitia è sempre rappresentata come una donna vestita con il tipico costume veneto: lo scialle, un’ampia gonna, gli stivali; in mano tiene la chiave per aprire la porta della vita nell’aldilà. Accanto a lei si trovano sempre rappresentati animali e piante.
I Veneti avevano costruito luoghi di culto (=luoghi dove andare a pregare) e santuari (=templi dedicati alle divinità), sparsi in tutto il territorio da loro abitato. Sia i luoghi di culto che i santuari erano sempre all’aperto, in ampi prati oppure nei boschi sacri. Essi erano sempre situati all’esterno delle zone abitate, vicino ai corsi d’acqua, a piccoli laghetti, alle fonti o alle sorgenti dei fiumi. Là i Veneti antichi andavano a compiere riti e a offrire doni per chiedere la protezione degli dei.

Il culto dei morti

I Veneti antichi credevano nella vita dopo la morte perciò, quando seppellivano il defunto, mettevano nella tomba anche il corredo funerario (=oggetti personali appartenuti al defunto). Inoltre, durante la sepoltura, praticavano il rito del banchetto funebre, cioè offrivano alle divinità cibi e bevande.
In tutta la regione abitata dai Veneti antichi, gli archeologi hanno trovato molte necropoli (=città dei morti). Le necropoli erano fuori delle città, verso la campagna, ecco perché si sono conservate così a lungo, mentre le città sono state demolite e ricostruite. I Veneti antichi praticavano il rito della cremazione, cioè i corpi dei defunti venivano bruciati, facendo in modo che il corpo fosse tenuto lontano dal rogo.
Le ceneri e i resti del defunto venivano poi raccolti in vasi ossuari (=vasi per i resti del defunto) che venivano deposti, insieme agli oggetti personali appartenuti al defunto, in tombe nelle necropoli, cioè gli antichi cimiteri. Solamente le persone più importanti venivano sepolte nelle tombe. Il corredo funerario era stato deposto in un grande sarcofago in pietra rosa con il tetto a due spioventi. Sulla stoffa, che un tempo avvolgeva la situla, erano fissati degli oggetti di abbigliamento: una collana di ambra, oro, argento e perle di pasta vitrea, fibule d’argento rivestite d’oro, orecchini e anelli. Appoggiato ad una grande situla c’era un ventaglio.
Nella tomba c’erano anche oggetti che ricordano le attività di allora.
C’era una attrezzatura completa per il focolare composta da alari, spiedi, paletta, colino, coltello; una attrezzatura completa per la filatura e la tessitura composta dal telaio con il suo sedile, fuso, conocchia, spolette, rocchetti, fusaiole, scatolette per il filo; infine c’era un corredo da banchetto con gli oggetti in bronzo e in ceramica.

LA CULTURA


Tutti i gruppi umani sono dotati di cultura. Cultura è il patrimonio spirituale e materiale di un gruppo umano e comprende sia le conoscenze che le credenze e le fantasie, i simboli e le idee, il modo di affrontare la realtà.
La cultura di un popolo è l’insieme dei modi secondo i quali esso risolve i problemi dell’esistenza sfruttando tutto ciò di cui può disporre:
– il sistema per produrre i beni necessari alla vita;
– il sistema sul quale si basa l’organizzazione sociale e politica;
– le concezioni, le credenze, i riti magici o religiosi;
– le manifestazioni artistiche.
Nel ricostruire la civiltà e la cultura venete, si è fatto e si farà riferimento ai reperti archeologici ritrovati in tante località del territorio regionale.

La famiglia

La famiglia veneta era la base fondamentale dell’ intera organizzazione sociale.La struttura familiare era rigida e protetta da regole ferree.
Il capo – famiglia deteneva l’autorità sui membri del nucleo familiare; tutti dovevano obbedienza e rispetto.
La donna aveva un ruolo fondamentale, con dignità ed autorità quasi pari a quelle del marito. Le donne si mostravano in pubblico di rado, forse solamente in occasione tradizionali che segnano la vita di una comunità: le nascite, i matrimoni, la sepoltura dei morti.
Tutti i componenti il nucleo familiare partecipavano alle occupazioni quotidiane per procurarsi ed assicurarsi il cibo e i materiali necessari: l’allevamento del bestiame, la coltura degli orti, la caccia e la pesca, la tessitura, la lavorazione del cuoio e delle pelli, la raccolta e la lavorazione del legno. Allo stesso modo la famiglia si procurava il nutrimento, gli abiti, il fuoco, l’abitazione.
I giovani apprendevano i mestieri, le tecniche di uso comune, i metodi di coltivazione della terra.
Le ragazze, invece, imparavano a filare le lane, a tessere tele, a lavorare le pelli di animali.

LA MONETA

L’ adozione della moneta da parte delle genti paleovenete è fenomeno tardo e certamente non legato allo sviluppo del commercio, come recenti ricerche stanno cercando di sottolineare anche alla luce di analoghe esperienze in altre
civiltà del mondo antico.
Tuttavia anche nella civiltà atestina sono documentate forme di scambio premonetale, strumenti di misura del valore degli oggetti e delle prestazioni d’opera, e mezzi di accumulo di ricchezza. Prima, per commerciare, si usavano denti di cinghiale, conchiglie e altri oggetti che rappresentavano le prime testimonianze di una riserva di valore e simboli di ricchezza e prestigio personale.
Una successiva forma di scambio e misura di valore è rappresentata da l’aes rude: piccoli frammenti di pani o verghe di bronzo fuso, che si rinvengono con una certa frequenza in tombe di Este, Padova, Adria.Questi pezzi di bronzo, però, erano presenti solo nelle tombe femminili e sono stati interpretati come “oboli” per il pagamento nell’aldilà. Nel ? secolo a.C. comparve la moneta vera e propria, emessa su modello di quella presente in tutta l’Italia settentrionale ed imitante il tipo della dracma della colonia Greca di Massaia (attuale città della Francia). A tali monete si è dato il nome di venetiche. La loro diffusione ebbe come centri Padova ed Este e si suppone che questi siano stati anche i luoghi di produzione. Si tratta di monete di argento del peso di circa 2,70- 2,80 grammi e rappresentano al dritto il volto di una divinità femminile, interpretata come la dea Reita con i caratteristici boccoli, l’orecchino e l’occhio circolare di prospetto, mentre al rovescio appare un leone fortemente disorganico, con artigli e lunga lingua.

LE ABITAZIONI

Le case di pianura venivano costruite con materiale leggero, deperibile, come paglia, legno, argilla e fango. Per il pavimento stendevano uno strato di argilla cruda pressata, mentre per le pareti utilizzavano un’intelaiatura con pali di legno che sostenevano un graticcio di canne, il tutto rivestito ancora di argilla e fango.
Alla base delle pareti realizzavano spesso un cordolo in pietre o grossi ciottoli per isolare i muri dall’umidità.
In collina, per esempio nella zona del vicentino (Trissino, Montebello, Santorso, Montecchio), si cercava di scegliere i luoghi maggiormente adatti. Si preferivano così pianure o gradoni naturali, esposti a sud per ricevere luce e calore per molte ore al giorno. Scavando in parte le sponde dei pendii potevano realizzare delle case seminterrate.
In alcuni casi le case erano anche dei laboratori dove si svolgevano le attività artigianali.
Le piccole stanze erano destinate, oltre che a camera da letto, anche a dispense per i cibi, a granai, a depositi per gli attrezzi, perfino a ricovero per animali. Il cuore di ogni casa era il focolare, attorno al quale si raccoglieva tutta la famiglia. Era realizzato con una spalmatura di argilla su una stesura di frammenti ceramici e ciottoli che servivano ad isolare e mantenere il calore.
Solitamente le case erano di forma rettangolare e divise all’interno per separare la zona dove si dormiva da quella dove si conservava il cibo, si cucinava, si mangiava e si incontravano parenti ed amici.
Le case non erano comunque molto grandi, anche perché molte delle loro attività venivano svolte all’aperto.

LA SCRITTURA

La lingua dei Veneti antichi si chiama Venetico. La lingua venetica è “parente” del latino dal quale deriva la nostra lingua italiana. I Veneti impararono la scrittura dagli Etruschi. I Veneti imparavano a leggere e a scrivere nei santuari.
Forse, i Veneti che imparavano a leggere e a scrivere avevano anche i libri per “studiare”: le tavolette alfabetiche in metallo nelle quali erano incise le vocali e le consonanti dell’alfabeto.
La scrittura venetica procedeva da destra a sinistra e le parole non erano divise ma scritte tutte di seguito. C’erano anche dei punti che però non servivano da pause, ma erano utilizzati per dividere le sillabe. Questo modo di scrivere, senza separare le parole, viene chiamato dagli esperti “scriptio continua”.
La loro penna era uno stilo appuntito nella parte inferiore, mentre nella parte superiore aveva una specie di “spatolina” che funzionava da gomma per cancellare; il loro quaderno era una tavoletta ricoperta di cera.
Le scritte in venetico si trovano nei reperti ritrovati nelle tombe o nei santuari; tutte le iscrizioni sono votive, cioè con la dedica agli dèi.
Il reperto che testimonia l’arrivo della scrittura nel Veneto è una coppa in bronzo con un’iscrizione dedicata alle divinità, realizzata nel VI secolo avanti Cristo.
Le fonti scritte sugli antichi Veneti, per lo più di scrittori greci e latini, sono numerose, ma vanno confrontate con i dati archeologici perché le notizie hanno spesso carattere mitico e vanno usate con cautela. Omero, famoso scrittore greco, chiama gli abitanti della nostra regione Enetoi: i Latini, traducendo il termine greco, li dissero Veneti.

LE ATTIVITA’

L’agricoltura era alla base della loro economia: coltivavano grano, ma anche cereali per i pascoli. Nelle loro case di Montebello Vicentino e Trissino, si possono ancora trovare resti d’orzo, miglio, avena, frumento, lenticchie e fave. Molti di loro si dedicavano all’allevamento: bovini, caprini ed ovini. Ma soprattutto i veneti erano famosi in tutto il Mediterraneo per la loro fama di allevatori di cavalli, che venivano richiesti anche dalle altre popolazioni.
Alcuni preferivano specializzarsi nella lavorazione dei metalli. Nel Vicentino (Montebello, Santorso) avevano delle vere e proprie case laboratorio con focolari particolari per la fusione e la forgiatura.
Dalla fine del VII sec. hanno iniziato la produzione di oggetti in bronzo sbalzati e figurati come le lamine e le situle, ossia vasi in bronzo a forma di secchio.
Quest’artigianato di così alto livello
è chiamato dagli archeologi “Arte delle situle”
Le donne si dedicavano alle attività domestiche, come la tessitura e la filatura.
Il telaio era lo strumento utilizzato dalle donne per tessere: presso i Veneti era diffuso quello più semplice, quello verticale. Fili verticali venivano fissati alla parte superiore del telaio e venivano tenuti in tensione da pesi
(pesi da telaio, in terracotta) e costituivano l’ordito.
Con una spoletta, un arnese in osso o in legno, piatto o rotondo, si dividevano i fili dell’ordito facendo passare quelli orizzontali della trama.

L’ARTE

Dell’arte veneta conosciamo un aspetto in particolare, quella della
arte visiva, ossia della scultura e dell’incisione o sbalzo su metallo, delle forme fuse nel bronzo: è l’arte della figura.
Sappiamo con certezza che la musica trovava posto costante: sono eloquenti le immagini dei suonatori di siringa e di corno o del musico chino su uno strumento a plettro, riprodotto in una statuetta bronzea.
Il materiale più utilizzato dagli antichi artisti veneti fu il bronzo. Esso era lavorato in lamine di spessore adatto che venivano poi modellate ed unite tra loro a formare situle, coperchi, cinturoni,
foderi di pugnali e di spade.
Le lamine bronzee venivano lavorate a sbalzo; l’artista cioè, con attrezzi adatti (martelletti, stili, punteruoli), batteva la lamina al rovescio facendo sollevare al diritto le forme volute. Sul diritto si otteneva l’altorilievo e a questo punto rifiniva le figure.
La situla, simile al secchio, ricordava nella forma i vasi di popolazioni dell’Europa Centrale dell’Oriente. Elegantissime sono le immagini del mondo animale, che viene costantemente ed ampiamente rappresentato.
L’aspetto della decorazione, costituisce un altro elemento forte ed originale dell’arte venetica. Esso si esprime nelle figure animali che si susseguono nelle fasce delle situle, con chiaro intento ornativo.
Uomini, donne, animali, sono le immagini ricorrenti nelle opere venetiche. Gli uomini appaiono ritratti nel costume guerresco, vicino ai loro cavalli; le donne mostrano la loro eleganza e la tipicità del costume, segnato soprattutto dal cinturone, dallo scialle e dagli stivali svasati in alto.
Il realismo dell’arte venetica è tale da farci riconoscere i modi del vestire, le forme dei capi d’abbigliamento, le ragioni delle loro forme. Sono piacevoli ed interessanti le figure degli atleti in lotta, del venditore di vasi.
Il bronzo veniva lavorato anche nella forma della scultura ottenuta per fusione, del bronzetto. Anche nei bronzetti ricorrono ricorrono soggetti quali i guerrieri, sia a piedi che a cavallo, con le loro armi.
Non mancano poi le immagini della dea madre del popolo veneto, Reizia, raffigurata come una donna abbigliata nel tipico costume veneto, i capelli acconciati a coda di cavallo.
Un posto importante nell’arte veneta è rappresentato anche dalla pittura.
Sono giunti fino a noi vasi figurati e dipinti. Soprattutto nella zona di Padova, nel corso degli scavi archeologici, sono stati ritrovati diversi esemplari di questo tipo. I colori più usati erano quelli dell’ocra gialla e bruna, del rosso, del violetto, dell’azzurro.

L’ABBIGLIAMENTO

Il loro abbigliamento era assai curato e, per vari aspetti , originale e distinto sia rispetto allo abbigliamento in uso presso le popolazioni celtiche confinanti, sia a quello proprio dei Latini.
Le immagini più numerose ci mostrano soprattutto i personaggi importanti, i ricchi, i capi, i sacerdoti.
Essi sono abbigliati con un ampio mantello, ricco nella tessitura.
Portano sul capo un gran cappello, dalla tesa larga e rialzata sui bordi.
Il capo vestiario più originale dello abbigliamento femminile, era l’ampio e pesante scialle, una mantellina che scendeva fino alla schiena.

Aveva diverse forme:
quello semplice e comune per tutti i giorni ;
quello nero in segno di lutto;
quelli di seta trapuntata in fili d’oro e d’argento.

L’acconciatura degli uomini e delle donne.
Gli uomini veneti usavano… radere completamente il capo, mentre le donne li acconciavano.
Esse portavano sotto lo scialle i capelli sciolti oppure raccolti.

La tunica leggera era portata sia dagli uomini sia dalle donne sotto il manto.

La tunica delle donne:
essa era più curata, ornata in basso da una balza di colore. Era pieghettata. Sopra, sul davanti veniva indossato un grembiule.

Le calzature femminili:
erano stivali che arrivavano al ginocchio con il gambale che si allargava ad imbuto: erano particolarmente adatti a terreni fangosi e paludosi.

Il confezionamento:
gli abiti venivano confezionati con stoffe di grande pregio, prodotte dalle donne.
Le lane venivano lavorate in modo da ottenere un tessuto pesante detto ” GUSAPE”: con esso si producevano i mantelli, le coperte e i tappeti.

A Padova si producevano tessuti unici, ottenuti attraverso una triplice tessitura, perciò venivano chiamati ” TRILICI”. I mantelli erano confezionati con questo tipo di stoffa

Le persone importanti che li indossavano:
i mantelli dei sacerdoti o dei personaggi di più elevata condizione sociale, erano ricamati ai bordi (ad esempio signori, cavalieri, guerrieri).
Gli spilloni, usati per fermare i mantelli, erano di rame, a volte argentati o proprio d’argento.
I sacerdoti sono riconoscibili per la foggia dei loro copricapi, simili alle tiare orientali.

Il capo più comune negli uomini:
era il gonnellino corto e pieghettato.

L’abbigliamento femminile:
le donne si vestivano con cura ed eleganza; l’elemento più importante era costituito da un cinturone di cuoio, ornato con una placca di bronzo argentato, decorata con disegni di tipo geometrico o con simboli oppure con figure.

I gioielli femminili:
indossavano orecchini, collane, pendagli d’argento, dischi o cuori usati come spille e rivestiti d’oro, gli anelli e le perle.
Venivano usati materiali diversi e soprattutto l’osso, il corallo, il bronzo, la pasta di vetro colorata e l’ambra che era ricercatissima.

ORGANIZZAZIONE SOCIALE

La società degli antichi Veneti conosceva delle differenze anche notevoli tra individuo ed individuo, tra classe e classe.
La classe più modesta era quella dei servi, collocata al gradino più basso della scala sociale e rappresentata da individui scalzi con vesti semplicissime. La fascia centrale era composta da lavoratori che, in varie forme, potevano dirsi autonomi: artigiani, mercanti, agricoltori, cacciatori e pescatori; ad essi si aggiungevano i guerrieri.
Al vertice della scala sociale stavano quelli che possiamo definire i “SIGNORI”,i più ricchi tra i lavoratori o coloro che, nell’occasione di qualche guerra, avevano modo di salire ai massimi onori. Sempre alla classe superiore appartenevano i sacerdoti, i quali indossavano ricche vesti, forniti di copricapo e calzature.
Anche i cavalieri occupavano una posizione importante.
E’ probabile che i lavoratori fossero riuniti in associazioni ( corporazioni ), per i tipi di attività che richiedevano una più alta specializzazione.
Ugualmente uniti tra loro da interessi comuni erano i commercianti, che traevano forti guadagni dalla vendita di materiali e prodotti che godevano di maggiore apprezzamento da parte di altre popolazioni.

I guerrieri veneti erano armati in modo simile a quello dei guerrieri greci e troiani.
Il capo era protetto dall’elmo a calotta bassa, il busto era rivestito da una corazza di cuoio irrobustito con lamine bronzee; le gambe erano riparate da schinieri.
L’armamento era completato dallo scudo, rotondo come quello degli opliti greci, dalla spada e da una o due lance
con la punta a foglia di alloro.
I cavalieri montavano senza sella. Disponevano inoltre di cocchi da guerra trainati dai robusti cavalli veneti. Ogni villaggio era indipendente.
Il popolo veneto si univa mettendo insieme tutte le forze disponibili in caso di minaccia dall’esterno, di guerra.
In queste occasioni i vari villaggi erano collegati da un patto di reciproco aiuto che durava fino al cessare del pericolo.
In questi casi i centri abitati maggiori( Este, Padova ,Vicenza, Oderzo, Montebelluna ) facevano da punto di riferimento e di guida per i villaggi di minori dimensioni.
Anche per una popolazione tendenzialmente pacifica come quella veneta, la guerra e i guerrieri avevano ugualmente un posto centrale nell’organizzazione sociale. Ad essi era affidato un compito soprattutto difensivo, la protezione della vita e dei beni delle comunità confederate, la garanzia di sicurezza delle vie di comunicazione, il mantenimento delle condizioni di pace.

ALIMENTAZIONE

La raccolta di frutti spontanei, le prede catturate nella caccia e nella pesca, i prodotti ottenuti dalle coltivazioni agricole e quelle offerti dal bestiame allevato offrivano gli alimenti giornalmente consumati sulle mense venete.
Il latte doveva essere d’uso quotidiano, così come i cibi ottenuti dai cereali. Le farine ricavate erano impastate con acqua e, probabilmente, insaporite con sale raccolto lungo le coste adriatiche, e condite con olio. Le farine erano inoltre utilizzate per impastare delle pagnotte, focacce o anche delle specie di gnocchi o di bocconi.
La produzione di miele era abbondante; esso si usava in cucina per addolcire gli alimenti e gli impasti ottenuti dalle farine.
L’olio utilizzato per condire i diversi cibi era ricavato dalle piantagioni di lino, pianta coltivata in grande quantità.
Erano coltivati diversi tipi d’ortaggio, che entravano nella comune alimentazione veneta; loro davano particolare importanza ai fagioli, di piccole dimensioni e dalla superficie occhiellata.
Le carni facevano parte dei cibi in uso quotidiano, ma limitato ad occasioni di particolare solennità.

Il bestiame era allevato per ricavarne lana e latte o per uso alimentare. I prodotti ricavati dalla caccia, dalla pesca e dall’allevamento del maiale erano proprio destinati al consumo alimentare. Veniva consumata anche la carne equina, data la numerosa presenza di cavalli animali che popolavano le pianure allo stato brado.
È molto probabile che i dolci e gli altri cibi venissero arrostiti piuttosto che posti a lessare, infatti era più semplice collocare nel focolare delle pietre lisce e piatte, facendole arroventare per poi depositare su di esse e far arrostire i cibi preparati.
I ricchi e i poveri, nelle cene mangiavano un piatto di ghiozzi: pesci dal grosso capo e dal corpo molto spinoso, ma le cui carni sono saporitissime.
Il pesce di mare e di fiume era molto comune nella cucina veneta. Consumavano spesso e volentieri i molluschi: le COZZE, che per loro costituivano una raffinata pietanza.
Il VINO, detto in lingua greca ènos, non poteva mancare nelle tavole Paleovenete.
I vini prodotti nella regione veneta, divennero famosi presso i Romani e ricercati per il loro sapore.
Oltretutto la produzione e l’abbondanza dei vini in terra veneta è stata lasciata dallo storico greco Strabone.
Nelle zone lontane veniva lavorato il vino “retico”, lo preferiva e lo desiderava trovarlo sulla propria tavola la consorte dell’imperatore Augusto.
Nelle illustrazioni che adornano le anfore ed altri oggetti, molte scene rappresentano quanto volentieri e con quanta abbondanza il vino fosse consumato e com’esso fosse offerto all’ospite; i cibi ei vini erano poi offerti alle divinità nelle sacre cerimoniGli Heneti, Veneti o Paleoveneti o Venetici sono stati un antico popolo dell’Italia settentrionale; la loro area di insediamento compresa inizialmente nell’area del Lago di Garda e sui Colli Euganei, si diffuse successivamente a tutto il Veneto e a parte del Friuli-Venezia Giulia. I Paleoveneti parlavano una lingua, il Veneto o Venetico appartenente al gruppo delle Lingue italiche. Una leggenda racconta che verso il 1000 a.C. dopo la distruzione di Troia da parte dei Greci, i componenti di una tribù della Paflagonia (regione dell’Asia Minore sul Mar Nero), denominata Éneti, e guidati dal mitico fondatore di Padova, Antenore, siano approdati sulle coste adriatiche e vi si siano stabiliti integrandosi con gli Euganei che già vi vivevano. Spesso si pensa che abbiano la stessa origine dei Veneti della Gallia, citati da Cesare. Questa teoria si basa sulle somiglianze linguistiche presenti tra l’altro nell’onomastica, ma questi tratti comuni possono altresì essere spiegati con i legami di parentela esistenti tra le lingue celtiche e le lingue italiche. I dati linguistici esistenti non permettono di accettare alcuna ipotesi. I Paleoveneti si stanziarono dapprima in piccoli villaggi tra l’Adige e il Lago di Garda, ma anche nelle zone prealpine della Valbelluna, essendo allora la pianura ricoperta da boschi e zone paludose. Una delle maggiori necropoli paleoveneta perfettamente conservata si trova infatti a Mel tra Belluno e Feltre. I primi grossi centri si formarono verso l’VIII secolo a.C. e uno dei principali fu Este (anticamente Ateste), allora sulla rive dell’Adige. I Paleoveneti ebbero con Roma rapporti amichevoli e si giovarono dell’aiuto della città laziale per allontanare la minaccia costituita dall’invasione dei Galli: in cambio di protezione, permisero ai Romani di stabilirsi pacificamente nell’odierno Veneto, e in definitiva di colonizzarlo costruendo strade, ponti e villaggi.

Fonte: www.venetiavictrix.com


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