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1° marzo: è il Capodanno Veneto!

BUON CAPODANNO VENETO A TUTTI!
Nell’epoca della Serenissima, il capodanno cadeva il 1° di marzo, tradizione che sembra discendere da un antico calendario che i Romani usavano prima di Giulio Cesare.
Nel tempo la festa del “Bati Marso” prevedeva di andare in giro per strade e piazze battendo su pentole, coperchi, e altri strumenti rumorosi, facendo confusione per far scappare l’inverno e propiziarsi la primavera nella quale si dava avvio ai lavori agricoli.

Luca Zaia
Presidente della Regione del Veneto

Lo sapevi che anche i Veneti hanno il loro Capodanno?

Fino al 1797, anno dell’invasione napoleonica, il Capodanno in Veneto si festeggiava, infatti, il 1° marzo, in linea con una tradizione molto più antica del calendario gregoriano – ovvero quella romana – più vicina al ciclo lunare e con dieci mesi anziché dodici.
Il termine “more veneto” (= secondo l’uso veneto, a modo veneto), che veniva abbreviato in m.v. accanto alla data utilizzata nei documenti e nelle annotazioni, indicava proprio il diverso uso secondo lo stile più diffuso dell’epoca, che era, appunto, l’attuale gregoriano, introdotto nel VI secolo da Papa Gregorio Magno.

L’usanza, di origini molto antiche, faceva sì che secondo tale sistema i mesi di settembre, ottobre, novembre e dicembre fossero effettivamente il settimo, l’ottavo, il nono e il decimo mese dell’anno, come indicato dal nome.
L’uso di collocare l’inizio dell’anno in corrispondenza con l’inizio della bella stagione, del risveglio naturale della vita in primavera, era una pratica arcaica alquanto diffusa, che possiamo tuttora trovare anche nel calendario cinese.

Testimonianze odierne dell’antica tradizione del capodanno veneto si hanno ancora in diverse zone della pedemontana berica, dell’altopiano di Asiago e in varie feste locali del Trevigiano, del Padovano e del Bassanese, dove è celebrata come l’usanza del Bruza Marzo, del Bati Marzo o del ciamàr Marzo – ma anche del “Fora febraro” nell’alto Vicentino – simboleggiante il risveglio della nuova stagione.



1 marzo: perché festeggiare il cao de l’anno veneto

di Roberto Ciambetti
Presidente del Consiglio Regionale del Veneto

Buon Capodanno (more Veneto). Solo per comodità di calcolo, come oggi si usa per l’inizio della primavera metereologica, il 1 marzo fu fissato dalla Serenissima come Capodanno, o Cao de l’anno, in origine legato al 25 marzo, giorno della mitica fondazione di Venezia, festa legata ai riti propiziatori dell’equinozio e non casualmente riproposta nel culto cristiano dell’Annunciazione.

Non è una strampalata idea quella del rilanciare il Capodanno veneto, come a suo tempo chiesto da Bepin Segato e ripreso anche da Ettore Beggiato, anzi. l’uso antico di iniziare l’anno con l’avvio della primavera ha lasciato profonde tracce che ritroviamo nella nostra quotidianità. Ad esempio, Settembre, Ottobre, Novembre, Dicembre, sono il settimo, ottavo, nono e decimo mese dell’anno ponendo appunto marzo come inizio. Per gli astrologi il primo segno dell’anno è l’Ariete che inizia per l’appunto in marzo e la prima stagione è da sempre la Primavera, dal latino ‘primo’ cioè inizio, e ‘ver’ con radice indoeuropea che sta per splendente, ardente, immagine del sole che sorge ad oriente.

Nel folklore veneto ancora oggi le feste del Bater o Ciamar Marso tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo rammentano gli antichi riti con cui si aiutava la primavera a risvegliarsi e ritornare alla vita.

Radici etimologiche e culti radicati nel folklore popolare ci richiamano l’antica idea del sole che torna da Oriente a riscaldare la terra tema questo, per altro, all’origine di molti culti pagani legati appunto all’equinozio di primavera. Nella lingua Inglese la Pasqua è Easter, o in tedesco, Ostern e in entrambe i casi esiste il richiamo alla divinità anglosassone della primavera Ostara che in nella mitologia norvegese è chiamata Eostare, in inglese Eostre il cui animale sacro era la Lepre (oggi sostituito nella cultura inglese dal Coniglio). Il legame anche etimologico del nome di questa divinità con l’oriente da cui sorge il sole è evidente: est, etimologicamente, giunge dal latino ausos legato al greco eos, che significa aurora a cui dobbiamo, tra l’altro, il latrino aurum, oro, il colore dell’alba.

Nella cultura greca, il mito della primavera ci rimanda al ritorno di Persefone e ai riti Eleusini. In origine anche per i cristiani la Creazione veniva ricondotta ai riti equinoziali e ancora oggi la festa dell’Annunciazione coincide con l’Incarnazione di Cristo, come spiegò papa Benedetto XVI nell’Angelus del 25 marzo del 2007 “Quando la Vergine disse il suo “sì” all’annuncio dell’Angelo, Gesù fu concepito e con Lui incominciò la nuova era della storia”.

Riflettere sul capodanno veneto non è una bizzarria, ma il modo migliore, in un’epoca in cui il consumismo ci ha sottratto e stravolto molte delle nostre feste, per tornare a scoprire le nostre tradizioni e la nostra cultura. Bon anno, dunque, a tutti.



Immagine da “La chiamata di Marzo”, organizzata ogni
2 anni a Recoaro Terme (VI).


Scoppi col carburo! Usanza che si tiene
prevalentemente nella Valle dell’Agno
(alto Vicentino) in occasione della
tradizione del “Fora febraro”.

Secondo la tradizione veneta i festeggiamenti per il Capodanno del 1 Marzo non duravano soltanto un giorno, gli auguri si facevano gli ultimi tre giorni di febbraio, cioè gli ultimi giorni dell’anno e si estendevano sino al nono giorno di Marzo.

Vegnì fora zente, vegnì
vegnì in strada a far casoto,
a bàtare Marso co coerci, tece
e pignate!
A la Natura dovemo farghe corajo,
sigando e cantando,
par svejar fora i spiriti de la tera!
Vegnì fora tuti
bei e bruti.
Bati, bati Marso
che ‘l mato va descalso,
femo casoto fin che riva sera
e ciamemo co forsa ea Primavera!
Vegnì fora zente, vegnì fora!!!!


Capodanno veneto,
“bon ano a tuti”

di Ettore Beggiato – studioso di Storia Veneta

Il primo marzo è sempre stato considerato nella storia della Repubblica Veneta il capodanno veneto; nei documenti e nei libri di storia si trovano le date relative ai mesi di gennaio e febbraio seguite da “more veneto” per sottolineare questa peculiarità veneta: incominciando l’anno veneto il primo di marzo, gennaio e febbraio erano gli ultimi mesi dell’anno passato. Il capodanno veneto originariamente era stato fissato al 25 marzo, giorno della fondazione di Venezia (421), per i credenti giorno dell’annunciazione del Signore, e, secondo una leggenda greca, giorno della creazione del mondo; in un secondo tempo fu anticipato al primo marzo per comodità di calcolo.

Emblematico quanto successe il 9 marzo 1510 nel luogo ove adesso sorge il Santuario della Madonna dei Miracoli a Motta di Livenza (Tv), la Madonna apparve a un contadino del posto e gli disse “Bon dì e bon ano!”. Per la verità nelle tradizioni delle nostre comunità un ricordo del capodanno veneto ha continuato, magari inconsciamente, ad essere presente: pensiamo al “bati marso”, al “brusar marso”, ai botti prodotti spontaneamente con il carburo… Un altro tassello della nostra storia e della nostra identità che va valorizzato, anche per onorare il Serenissimo Bepin Segato che più di ogni altro si era impegnato per riproporre questa festa.

Recentemente è stato festeggiato in diverse città venete il capodanno cinese (è l’anno del Cane); l’ 11 febbraio gli amici tibetani hanno festeggiato il loro capodanno (Losar) e per tutti noi è stato un momento per ribadire la nostra solidarietà alla nazione del Tibet vergognosamente calpestata dalla Cina; il 21 marzo i curdi festeggeranno il loro capodanno (Newroz) e sarà l’occasione per tutti coloro che credono nel diritto dell’autodeterminazione per tutti i popoli per stringersi attorno al popolo curdo, il 14 aprile i bengalesi festeggeranno il loro capodanno; non parliamo poi delle ricorrenze e delle celebrazioni di altri popoli, di altre religioni (si pensi solo al Ramadan): ma nel Veneto del futuro ci sarà spazio anche per i Veneti?

Intanto “Viva San Marco!” per ricordare e festeggiare l’arrivo del nuovo anno veneto.



… e per finire una curiosità!

“Bon dì e Bon Ano”: quando la Madonna parlò in lingua veneta

Per chi non lo sapesse, durante il lungo periodo di prosperità della Repubblica Serenissima, il capodanno si celebrava il 1° di marzo, una consuetudine rimasta in vita fino all’invasione francese della terra veneta nel 1797 e tornata a rivivere oggi, in Veneto, grazie alla passione e all’impegno di molte associazioni culturali.

Una delle più significative testimonianze del Capodanno Veneto ci arriva non da qualche storico o amante della cultura veneta, ma da documenti ecclesiastici, narranti la vicenda accaduta al trevigiano Giovanni Cigana.

Giovanni era un contadino della Marca Trevigiana, più precisamente di Motta di Livenza e la vicenda di cui parliamo accadde il 9 marzo 1510. Uomo stimato e ben conosciuto nella zona, Giovanni all’epoca aveva 79 anni, “forte e robusto, padre di sei figli, cristiano tutto d’un pezzo” come lo ricordano le cronache del tempo.
Quella mattina Giovanni si era fermato come di consuetudine a pregare nei pressi del “capitello della Madonna” – così chiamato dalla popolazione locale – benché avesse una gran fretta: doveva recarsi infatti a Redivole, per chiedere ad un suo conoscente, tale Luigi Facchini, di venire ad arare e seminare legumi in un suo terreno. Finite le preghiere, Giovanni si alzò e si girò per proseguire il suo cammino.
Ma… meraviglia! Vicino alla strada vide una giovane di circa dodici anni, seduta a terra e con le mani sopra le ginocchia. Indossava vesti candide e sfavillanti – come ricordò Giovanni – anche il volto era candido e roseo.
Davanti a questa visione Giovanni non si scompose, anzi si avvicinò e salutò la giovane nella nostra lingua: “Dio ve dia el bon dì”. La mistreriosa Fanciulla rispose al saluto anch’ella in veneto: “Bon dì e Bon Ano, homo da ben”.

A quel tempo Motta faceva parte della Repubblica Veneta e l’anno nuovo era iniziato da pochi giorni.
Il colloquio fra i due assunse toni sempre più familiari, fino a quando Giovanni si accorse che era al cospetto della Beata Vergine e, preso da profonda venerazione, si gettò in ginocchio davanti a Lei.

Dopo appena due mesi fu istituito il processo canonico che verificò l’autenticità della visione. In seguito all’episodio, quella fanciulla divenne la Madonna dei Miracoli e sul luogo dell’apparizione fu eretto un santuario, ancor’oggi visitabile.
L’apparizione del 9 marzo 1510 non fu solo un evento di grande importanza da un punto di vista religioso, ma anche una preziosa testimonianza di cultura e identità veneta.

Davide Guiotto

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