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Il dialetto è lingua?

Tratto da: Grammatica veneta – di Silvano Belloni

Una fra le tante accuse che non molti anni or sono si facevano alle parlate dialettali da parte della cultura ufficiale era quella che il dialetto, e nel nostro caso il dialetto veneto, essendo essenzialmente lingua parlata più che scritta, mancava soprattutto di una chiara e definitiva codificazione grammaticale, con regole precise cui riferirsi senza tema di sbagliare.
A parte il fatto che non si può ignorare che è l’uso che fa la grammatica e non viceversa, l’osservazione aveva un suo chiaro intento svalutativo, mirando più che altro allo scopo di privilegiare la lingua nazionale, cioè l’ italiano, declassando il dialetto a lingua di seconda serie, poco articolata, povera di lessico, carente di sintassi, ristretta a ben circoscritte aree rurali o, al massimo, a poche zone depresse di sottocultura cittadina.

Il rinnovato interesse per la storia, le tradizioni, la vita semplice e spontanea del nostro passato più o meno recente ha portato finalmente l’attenzione dei linguisti sul fenomeno dei linguaggi popolari, suscitando tutta una serie di ricerche locali, indagini, nuovi studi anche a carattere specialistico o universitario. Assistiamo così da una ventina d’anni e più a questa parte ad una impegnata ed incisiva opera di recupero del dialetto, riconosciuto come una realtà socio-culturale ancora straordinariamente diffusa tra le nostre popolazioni in maggioranza parlanti il dialetto come prima lingua, una realtà che è tuttavia viva e operante a tutti i livelli, nonostante le passate campagne denigratorie e i continui insediamenti di nuclei familiari provenienti da altre regioni linguistiche. Ne è ulteriore conferma il fatto che fra dialettofoni, a sfatare una volta per tutte le dicerie che il dialetto restringe le possibilità di una articolata e moderna comunicazione verbale e scritta, si parla indifferentemente e tranquillamente di tutto, di politica e di religione, di arte e di scienze, di sport e di lavoro, di argomenti privati e pubblici, di avvenimenti della cronaca sia locale che nazionale e mondiale. Il che dimostra che il dialetto è una lingua come tutte le altre, completa e sufficiente.
Oggi, del resto, si riconosce senza difficoltà che la stessa lingua italiana altro non è che un dialetto neolatino (toscano-fiorentino) assurto a lingua nazionale per ragioni geografiche, storiche, politiche ed artistiche particolari. Come non pensare che diverse vicende avrebbero favorito magari altri dialetti, come ad esempio il siciliano, il napoletano e, perché no, il nostro veneto?

Queste osservazioni non mirano a levare meriti all’italiano che è, e resta, la lingua nazionale e veicolare di base per tutti gli abitanti della nostra penisola, ma intendono soltanto far notare che anche i linguaggi cosiddetti “minori”, i “dialetti”, hanno una loro precisa collocazione storica, una loro dignità e validità intrinseca, pur restando diffusi in aree circoscritte e più limitate.

Se è giusto e indispensabile parlare italiano ad esempio tra un “emittente” veneto e un “ricevente” abruzzese, non essendoci altro modo per “trasmettere” e “ricevere” messaggi in uno stesso “codice”, come direbbe, col suo linguaggio specialistico, un moderno manuale di linguistica; se è auspicabile, e magari cortese, esprimersi in francese con un francese e in inglese con un inglese, conoscendo bene ovviamente le loro lingue, perché dovrebbe essere disdicevole e “volgare” parlare tranquillamente nel proprio dialetto per quelli che questo linguaggio hanno imparato a usare fin dalla nascita? È più naturale che due veneti amino dialogare in dialetto veneto, come due cinesi, pur trovandosi in Italia e nel Veneto, preferiranno parlarsi in cinese!

Lasciamo da parte, per carità, le questioni ideologiche e di campanile e facciamone semplicemente una questione di convenienza, di praticità, di competenza e, perché no, di libertà culturale e di democrazia espressiva. Ridotto il problema in questi termini, non ha più senso continuare a discutere sulle distinzioni tra “lingue” e “dialetti” e confrontare l’italiano col veneto per assegnare all’uno o all’altro la palma di chissà quale vittoria.


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