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Dialetti e lingue regionali, non si faccia confusione

Di Sabino Acquaviva – sociologo

Ho letto con sostanziale disappunto l’articolo di Luciano Canfora sul Corriere della sera del 24 maggio dal titolo “Più dei dialetti a scuola insegniamo le lingue nazionali”, in cui si sostengono le vecchie tesi che hanno distrutto le culture regionali scatenando guerre e massacri di cui paghiamo ancora il prezzo di sofferenze e di sangue.
Gli stati nazionali, riconosciamolo, sono stati una sventura plurisecolare per il nostro continente. In una parola Canfora illustra, nel suo articolo, una tesi che a mio parere fa a pugni con la storia.
Come è noto, fin verso il Cinquecento in Europa dominava il latino (come oggi, giustamente, tende a prevalere l’inglese) accanto ad un consistente numero di lingue regionali. In seguito, in ogni area geografica singole lingue regionali hanno prevalso sulle altre, dichiarandosi lingue nazionali e scatenando le lotte e le guerre che sappiamo.
Tutto questo è dimostrato dal cimitero linguistico in cui siamo immersi. Ad esempio il francese del nord ha schiacciato il provenzale, il castigliano ha tentato di annientare il catalano, il toscano (diventato italiano) ha fatto strage di lingue con una tradizione secolare, come il veneto. Eccetera. Ma oggi finalmente tentiamo di costruire gli Stati Uniti d’Europa e la loro nascita è resa più facile dall’indebolirsi degli stati nazionali (e della loro identità, anche linguistica).
In conclusione, l’idea di difendere le lingue regionali (che Canfora confonde con i dialetti), non è né fondamentalista né demagogica come sembra sostenere. Anzi, guarda al futuro di un continente che soltanto unito potrà difendersi da paesi in rapida crescita economica, e con più di un miliardo di abitanti ciascuno, come l’India e la Cina.
Due altre considerazioni critiche di Canfora e di molti altri studiosi vanno prese in considerazione e confutate. La prima: i dialetti (cioè le lingue regionali) cambiano anche all’interno di singole regioni, e quindi sono troppe le varianti linguistiche e la confusione. E allora? Il greco antico non è forse il risultato di tre dialetti? L’evoluzione della società greca, le guerre, lo sviluppo culturale, non hanno dato forse vita alla famosa koinè, cioè a un greco unificato? Perché questo processo non deve essere facilitato e favorito per almeno alcune delle lingue regionali della nuova Europa come il catalano, il basco, il veneto?
La seconda: “Avrebbe semmai più senso far meglio conoscere, in una regione, i dialetti di altre regioni”. Mi sembra poco logico. Anzitutto, non capisco perché dovremmo trasformare i nostri concittadini europei in poliglotti. Inoltre, cosa scegliere? Lingue come il veneto, il siciliano, il napoletano, tutte con una antica tradizione culturale? In specie il veneto, lingua internazionale nel Mediterraneo per secoli, che ha le sue radici in figure come quelle di Ruzante e Goldoni? Oppure il molisano, vero e proprio dialetto?
In conclusione vorrei invitare Canfora, sempre un acuto osservatore, a distinguere fra dialetti e lingue regionali, fra l’Europa del futuro e la baraccopoli, spero in liquidazione, degli stati nazionali.

Fonte: il Gazzettino del 31/5/2009


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