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Il 25 aprile e San Marco – il modello Veneto

Abbiamo scelto la Libertà

Il 25 aprile a Venezia è una giornata particolarissima: è il giorno di San Marco e il giorno del “bocolo”, cioè il bocciolo di rosa che ogni uomo dona, sulla scorta di una suggestiva e romantica leggenda, nella giornata del patrono cittadino, alla propria amata quasi a rinnovare il pegno d’amore.

E’ la giornata in cui si celebra la conclusione della Seconda Guerra Mondiale e viene spontaneo suggerire una passeggiata che dalla Basilica di San Marco, lungo Riva Sette Martiri, porti al monumento alla Partigiana di Augusto Murer, con il basamento di Carlo Scarpa, ai Giardini della Biennale. Neanche una mezzora, in uno dei panorami più belli e noti al mondo, ma in verità un viaggio nella memoria, nella nostra identità, un percorso per riflettere.

Per quest’anno il Lezionario romano prevede per le Messe la lettura proprio del Vangelo di Marco, forse il primo ad essere stato scritto: Marco, l’evangelista morto il 25 aprile probabilmente ad Alessandria d’Egitto, centro dottrinale del primo cristianesimo e città a cui Venezia fu intimamente legata sin dalla sua fondazione. Da Alessandria, narra la leggenda, Bon da Malomocco e Rustico da Torcello trafugarono le spoglie dell’evangelista che vennero ospitate a Venezia in una nuova chiesa, l’attuale Basilica di San Marco, eretta come cappella palatina, cioè la chiesa del Doge e non sede del Patriarca la cui cattedra stava a San Pietro, a ribadire quel singolare rapporto laico che univa lo stato veneziano al proprio patrono, che della città, e del Veneto, diventerà simbolo universale e custode.

Il possesso da parte della Repubblica Serenissima della reliquia marciana garantiva alla città uno status particolare, una certa libertà, rispetto al dominio papale: Venezia città libera, libera nel segno di san Marco. E libera la città lo fu per secoli.

Continuiamo la nostra passeggiata, Riva Sette Martiri e non possiamo dimenticare che a Verona tra il 25 e 26 aprile 1945 vengono distrutti i ponti sull’Adige, il 28 aprile si combatte ancora a Vicenza, Padova e anche a Venezia: piazzale Roma, alla Marittima e a Sant’Elena gli scontri sono duri. Gli occupanti tedeschi lasciano la città dopo aver consegnato le mappe delle mine posizionate in laguna ma il generale Clark da Roma fa subito chiarezza: “Invio ai cittadini di Venezia le mie congratulazioni per l’insurrezione, coronata da pieno successo. Possiamo dichiarare, per la verità, che la vostra città è stata liberata dall’interno” . Venezia libera, liberata dai veneziani.

Ma la libertà è stata pagata a caro prezzo in tutto il Veneto tra le macerie non solo fisiche di un conflitto che lascia profonde ferite a cui se ne aggiungeranno in breve altre: dall’Istria e dalla Dalmazia, già giungono segnali drammatici.

E’ un Veneto dove già in quei mesi si avvertono bene i segnali di quella che sarà la guerra fredda: “Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico una cortina di ferro è scesa attraverso il continente…” denuncerà nell’estate del ’46 Winston Churchill, ma da noi quella cortina è già da tempo realtà e durissimo scontro politico.

E’ un Veneto di prima linea, di frontiera, povero, segnato da un impianto rurale arretrato, ma anche il primo a dar rifugio, casa e libertà ai profughi istro-dalmati, il primo a garantire da Pellestrina il viaggio via nave verso Israele e la libertà agli ebrei dell’est Europa sfuggiti alla Shoah. Un Veneto che si tira su le maniche. E’ un Veneto che inequivocabilmente sceglie la libertà ponendo le basi di quel modello economico che di lì nel volgere di pochi decenni trasformerà la regione facendola diventare uno dei motori dell’economia europea.
25 aprile, nel segno di San Marco, abbiamo scelto la libertà.

Roberto Ciambetti
Presidente del Consiglio Regionale del Veneto


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