Dialetti a Nordest: si parlano poco, ma sono molto amati e resistono

Il dialetto è in crisi? Come fare per preservarlo? E poi: va preservato? L’Osservatorio sul Nordest, curato da Demos per Il Gazzettino, si interroga su uno dei tratti che ha contraddistinto l’area nel corso del tempo: l’uso del dialetto. Quasi 8 nordestini su 10 (77%) ritengono che nell’arco dell’ultimo ventennio il suo uso sia diminuito, mentre una minoranza ritiene che sia aumentato (5%) o rimasto sostanzialmente uguale (18%).

A fronte di questa crisi, l’opinione (quasi) unanime è che il dialetto vada difeso perché è parte della nostra identità (92%). A contrastarne il declino è chiamata soprattutto la famiglia (74%) e solo una minoranza si rivolge alla scuola (19%) o ad altre forme di trasmissione culturale come libri (5%) e canzoni (2%).

“Ci sono due strati nella personalità di un uomo: sopra, le ferite superficiali, in italiano, in francese, in latino; sotto, le ferite antiche che rimarginandosi hanno fatto queste croste delle parole in dialetto. Quando se ne tocca una si sente sprigionarsi una reazione a catena, che è difficile spiegare a chi non ha il dialetto.”: così Luigi Meneghello, nel suo capolavoro “Libera nos a Malo” spiega cosa significa avere il dialetto nella propria formazione. Il dialetto, lo scrittore vicentino lo narra bene, è la lingua del cuore del Nordest: in dialetto le cose “sono”, mentre in italiano “sono chiamate”. Perdere questa ricchezza equivale a perdere una parte importante della stessa identità dell’area.

Oggi il rischio è più che concreto: il 77% dei rispondenti percepisce infatti una crisi nell’uso del dialetto rispetto a 20 anni fa, mentre quanti ritengono che si parli di più (5%) o ugualmente (18%) sono una minoranza. L’idea che la sua esistenza vada difesa, però, è plebiscitaria e coinvolge il 92% dei nordestini.

Qual è il mezzo più utile per trasmettere il dialetto alle nuove generazioni? Il primo istituto chiamato in causa è la famiglia: il 74% infatti ritiene sia questo il luogo più idoneo per permettere al dialetto di continuare a vivere. Una estensione tanto ampia si associa anche ad una trasversalità degli orientamenti, che infatti raramente scendono sotto il 70%. Tuttavia, rileviamo che sono soprattutto gli under-25 (78%) o quanti hanno tra i 25 e i 34 anni (80%), oltre che gli adulti tra i 55 e i 64 anni (81%), a convergere maggiormente su questa soluzione. Guardando alle professioni, poi, vediamo come sono soprattutto liberi professionisti (87%), studenti (80%), disoccupati (79%) e impiegati (78%) a mostrare il favore più esteso. Politicamente, rileviamo una maggiore attenzione tra gli elettori di Sel (84%), del Pd e del M5s (78%).

L’ipotesi di affidare alla scuola la trasmissione del dialetto, invece, interessa quasi un nordestino su cinque (19%). Sono soprattutto gli anziani over-65 (26%), gli operai (25%) e i pensionati (24%) a mostrare il favore più esteso, anche se le quote più ampie sono rintracciabili tra gli elettori della Lega Nord (30%) e di Forza Italia (37%).

L’idea che siano libri e canzoni a salvare il futuro del dialetto è sostenuta da una nicchia di intervistati (complessivamente: 7%). La quota tende a crescere tra gli elettori del Pd (12%) e di Sel (16%), oltre che tra quanti guardano ai partiti minori (18%). Molto interessante, però, è che la percentuale tenda a crescere tra i giovani tra i 15 e i 24 anni (12%) e gli studenti (13%), oltre che tra gli imprenditori (17%), segno che c’è interesse in settori che guardano al futuro e su questo stanno, in modo diverso, scommettendo e investendo.

fonte: il Gazzettino
21/11/2015


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