Un Popolo che muore…

[…] perché lingue minori come l’estone, la lettone, la lituana, la danese, l’olandese, ci sono ancora e la lingua veneta, che ha molti più parlanti “, ed ha la dignità di una lingua che è stata lingua internazionale, lingua franca, parlata e scritta in diversi stati, anche fuori d’Italia,” non è riconosciuta?…

Prefazione di Sabino Acquaviva al libro Gli Ultimi Veneti – di Gianfranco Cavallin

Questo libro racconta la storia di un popolo che muore, ma lo fa mentre qualche cosa ancora vive di quel popolo, anche se forse si tratta soltanto dei relitti di un naufragio. Tuttavia, l’interesse del libro è proprio, o meglio anzitutto, in questo fatto. Leggere le pagine di Cavallin suscita sentimenti contraddittori,e forse è questo il loro fascino. Si segue con raccapriccio la distruzione di uno stato, anzi di un impero, quello veneziano. La prima parte è una specie di sintesi di eventi politici e militari che hanno segnato il destino successivo di queste terre. Ma insieme alla Repubblica di Venezia, e questa è la cosa più triste, si capisce che si perde l’identità del popolo veneto, lentamente ma inesorabilmente. Di fronte alla tragedia che stiamo vivendo, Cavallin si pone subito le domande chiave. La prima: “perché è scomparso uno stato importante come la repubblica veneta? “ La seconda: “perché lingue minori come l’estone, la lettone, la lituana, la danese, l’olandese, ci sono ancora e la lingua veneta, che ha molti più parlanti “, ed ha la dignità di una lingua che è stata lingua internazionale, lingua franca, parlata e scritta in diversi stati, anche fuori d’Italia,” non è riconosciuta?”
Certamente, la causa prima di tutto questo è nell’obbrobrio del trattato di Campoformio. E questo fu opera di Napoleone primo, il distruttore della repubblica di Venezia. E pensare che qualcuno ha proposto, ignorando la storia, di erigere un monumento a memoria di chi ha sepolto, insieme la repubblica di Venezia, la sua specficità culturale e la sua lingua, saccheggiando e trafugando i tesori più preziosi della repubblica. Ma Cavallin, nel suo libro, cita anche la storia della. diaspora, del disperdersi dei Veneti nei diversi paesi del mondo. E questa, che a un lettore disattento può apparire una semplice cronaca, ha un significato molto più consistente.
Anzitutto perché sottolinea la sopravvivenza e la forza di una lingua e una cultura. All’estero, forse molto più che in Italia e nel Veneto, l’identità veneta sopravvive ed è amata, difesa e coltivata.
In secondo luogo per il valore simbolico di questa diaspora. Gli Ebrei, perseguitati per secoli, dispersi nel mondo, riuscirono a ritrovarsi, a ritornare in Palestina, a ricostruire una loro patria, a far rivivere la lingua e la cultura ebraica. E si trattava di una lingua morta che dopo millenni è ridiventa viva, scritta e parlata.
Gia siamo di fronte alla diaspora del popolo veneto alla fuga dalla propria identità, al processo di italianizzazione, alla perdita progressiva e apparentemente inesorabile della lingua parlata. E noi sappiamo che un popolo perde la sua identità quando appunto rifiuta o semplicemente dimentica la propria lingua.
E allora che fare? Penso che nel libro di Cavallin vi siano le premesse, esposte in maniera magistrale, della rinascita. C’è una diaspora? Ebbene, essa – analogamente a quella del popolo ebraico è capace di annunciare appunto la riscoperta e la rinascita della lingua e della cultura del Veneto.
La lingua sta morendo? Ci sono ancora studiosi e uomini di cultura che possono organizzarsi per riportare il veneto nella scuola, superando le critiche superficiali di molti, anche di chi non riconosce la presenza, anche se in parte potenziale, di una koinè della lingua veneta. È indispensabile che il veneto venga insegnato nelle aule scolastiche, perché una lingua che non venga rivissuta a scuola è destinata a morire. Dunque, bisogna organizzare i venetofoni in difesa della loro lingua, da Gorizia a Rovereto, dall’Istria alla Dalmazia, da Trieste a Perasto. Questo mobilitando le amministrazioni comunali, provinciali e regionali, i centri culturali, ogni altro organismo, per far rinascere il veneto. Cominciando, ad esempio, dai gemellaggi e continuando con radio e televisioni locali, giornali, riviste. Perché, ad esempio, non gemellare Padova e Rovino o Zara piuttosto che Padova e Los Angeles? Perché non contribuire così al salvataggio di una cultura? È impossibile? Non è vero, altri popoli che hanno difeso la loro identità quasi perduta hanno vinto la battaglia, e si pensi alla Catalogna. Difendere le culture regionali è indice di conservatorismo? Anche questo non è vero: la crescita delle culture regionali a danno di quelle nazionali, favorisce, prepara, accelera, la formazione degli Stati Uniti d’Europa, la nostra grande patria di domani, espressione e tutela delle antiche patrie regionali combattute, soffocate, spesso cancellate, dagli stati nazionali.
In conclusione, il libro di Cavallin, raccontando il lento declino di una identità potrebbe essere un primo strumento per la sua riscoperta e la sua ricostruzione. E un contributo indiretto, forse involontario, alla costruzione dell’identità europea.

Sabino Acquaviva


Condividi su:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *