“Esser séco incandìo” – l’origine di un modo di dire veneto. Il misterioso ‘biscoto’ venezian.

Dalla pagina “Venezia a tavola” la spiegazion de na maniera de dire de la lengua veneta.

Non soltanto ogni ricetta ma anche ogni modo di dire veneziano porta con sé anche un pezzetto di storia. Per esempio, i veneziani sanno che dire a una persona “ti xe seco incandìo!” vuole dire “ti vedo smagrito, un poco patito”. Ma, come mai?

In questo caso dobbiamo fare un salto indietro di oltre 350 anni e immaginarci cosa potesse essere stato l’assedio di Candia (l’attuale Creta) durante la lunga Guerra combattuta tra Venezia e l’Impero Ottomano. Siamo alla metà del ‘600 e Candia era controllata dalla Serenissima, per questo motivo subì un estenuante assedio, forse il più lungo della storia, durato oltre 22 anni, dal 1647 al 1669, terminato alla fine con la conquista turca.
Il 5 settembre 1669, dopo 29.000 caduti tra i difensori e 108.000 tra gli assedianti, il Capitano Generale da Màr Francesco Morosini, comandante delle forze veneziane, firma la resa con l’onore delle armi e la possibilità per tutti i cristiani di lasciare l’isola, ma senza portare nulla con sé.
Così ci racconta quei fatti lo scrittore Alberto Toso Fei, in un’intervista di Veneziani a Tavola di qualche tempo fa…

(Marco Boschini, Incisione in rame tratta da “Il regno tutto di Candia delineato” – Venezia,1651. Da: libreriaperini)

<< Nel 1669, quando entrarono a Candia, i turchi non vi trovarono i quattromila abitanti superstiti, che approdarono alcune settimane più tardi a Venezia. Dalle condizioni in cui li si vide arrivare presero piede in città i modi di dire “essere in Candia”, cioè “essere agli estremi”, ma anche “esser seco incandìo”, che ancora oggi si usa per indicare una persona particolarmente magra per il fatto che non mangia.
Nel 1821 (152 anni dopo l’abbandono dell’isola da parte dei veneziani) furono trovate ancora intatte e sane (anzi, di gradevole sapore!) delle gallette inviate da Venezia per rifocillare le truppe nel corso del lungo assedio. La ricetta del “frisopo” (era questo il nome del particolare pane, noto anche con l’appellativo di biscotto) era segreta, e oggi non se ne trova più traccia. Unico indizio il nome, “bis-cotto” appunto, che lascia intendere come venisse cotto due volte per ridurne al minimo il contenuto d’umidità. Le gallette venivano impastate appena fuori le mura dell’Arsenale, dove ancora oggi c’è Fondamenta dei Forni. >>

fonte: venetostoria.com


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