

“Il Veneto è storicamente la lingua del Popolo veneto“: questa la definizione che la legge approvata dal Consiglio Regionale dà della lingua veneta che intende tutelare, valorizzare e promuovere. Una lingua fatta di tante parlate e di tanti dialetti che hanno in comune la stessa radice linguistica.
Un patrimonio culturale da tutelare e valorizzare in adesione e nel rispetto del dettato della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie e di cui la Regione si impegna a favorirne la conoscenza e la diffusione con tutta una serie di attività dirette.
Si potrà studiare facoltativamente a scuola e, per gli insegnanti, saranno apprestati corsi di formazione, ne sarà codificata
la grafia ufficiale e il suo uso nella toponomastica. La Regione si impegna a favorirne e promuoverne l’insegnamento e l’apprendimento, l’informazione giornalistica e radiotelevisiva, la creazione artistica, l’edizione e la diffusione di libri e pubblicazioni, l’organizzazione di specifiche sezioni nelle biblioteche pubbliche, la ricerca, lo svolgimento di attività e incontri per il suo uso e conoscenza.
Una lingua abitualmente parlata da sette abitanti su dieci della Regione, ovvero da circa 3 milioni di persone oltre che in numerose comunità in tutto il mondo; in Veneto è scritta una parte cospicua dei documenti che riguardano la stessa storia d’Italia, quella fatta delle relazioni dei diplomatici della Serenissima, la più longeva Repubblica dell’umanità. In Veneto scriveva uno dei più grandi commediografi di tutti i tempi, Carlo Goldoni, rappresentato in tutto il mondo, e scrive uno dei più grandi poeti viventi, Andrea Zanzotto; in Veneto, prima ancora che esistesse l’italiano, sono stati scritti per secoli i contratti commerciali internazionali, custoditi in Grecia, Turchia e in tutta l’area del mediterraneo.
Scrisse il sociologo Sabino Acquaviva:
“Se non viene tutelata la lingua, l’identità muore. Ricordo che quando i genitori parlano con i figli una lingua che non è la loro, quando impediscono ai figli di parlare la loro lingua, quando gli dicono che non è corretto esprimersi in quello che ritengono un dialetto, e soprattutto quando i figli si vergognano di parlarlo fuori casa, a quel punto la sopravvivenza dell’identità di quel popolo è alla fine. Quindi il Veneto è una lingua che va tutelata e insegnata a scuola, e non un’ora alla settimana, ma massicciamente, quasi come l’italiano”
(S. ACQUAVIVA, Identità veneta, Venezia 1999, p.27).
Audio dell’intervento di Sabino Acquaviva sulla Lingua Veneta:

È una cartella che contiene gli strumenti più utili per comprenderla e apprezzarla: la grammatica, il manuale di grafia veneta unitaria, il vocabolario, il traduttore simultaneo Italiano-Veneto e Inglese-Veneto, il sussidiario, le norme di tutela emanate dalla Regione, i link alle lingue, cosiddette minoritarie, europee e tanto altro ancora.
Perché, come dice un vecchio proverbio, non solo veneto:
“On àlbaro che no’l ga raixe, el more presto”.
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Negli anni appena successivi l’annessione all’Italia arrivò un’ondata di povertà mai vista in Veneto: nuove tasse – come la tristemente famosa “tassa sul macinato” – e la leva obbligatoria, che privò le famiglie venete dell’aiuto dei giovani, stroncarono l’economia contadina veneta.
La prima emigrazione organizzata in partenza dal Veneto (in buona parte dalla provincia di Treviso e, in minor misura, dalla Lombardia e dal Friuli, risale al 1875. Infatti a partire da quell’anno cominciarono ad arrivare in Brasile – negli stati di Rio Grande do Sul, Santa Catarina, Paranà, Espirito Santo, e soprattutto nella cosiddetta “zona di colonizzazione italiana” ubicata nel Nordest del primo stato, che oggi ha per centro economico, commerciale e culturale la fiorente città di Caxias do Sul con circa 500.000 abitanti: miracolo di sviluppo e modello di “un altro veneto” trapiantato e cresciuto oltre oceano. Ad esso vanno aggiunte altre correnti emigratorie, soprattutto in Argentina e Uruguay, dove molti italiani erano già presenti da prima, e, in minor misura, in minor paesi come il Messico.
La traversata atlantica in quell’epoca (nel fondo delle stive) fu da sola una epopea che ancora è presente nella memoria collettiva, tramandata in episodi struggenti nei ricordi dei vecchi e nella copiosa letteratura popolare, soprattutto veneto-brasiliana (canti, poesie, racconti), che, a partire dalle celebrazioni del centenario della prima emigrazione “in loco” (1975), è esplosa qua e là anche in forme stilisticamente pregevoli. Così pure rimane nella memoria collettiva l’epopea delle inenarrabili condizioni di arrivo e di insediamento e le lotte della prima generazione per disboscare a braccia la montagna, per difendersi dagli animali feroci, dai serpenti, dagli indios, dalle malattie, per costruire dal nulla strade e abitazioni, per affrontare continuamente la paura che diventava un’ossessione…
Per quanto riguarda il sud del Brasile, che può essere considerato emblematico, un primo gruppo di emigrati arrivò, dopo indicibili peripezie e sofferenze a quella che oggi si chiama Nova Milano, nei pressi di Caxias do Sul. Dal porto di Porto Alegre essi proseguivano in barconi lungo il rio Caì e poi a piedi, per chilometri e chilometri, attraverso la selva, con le poche masserizie sulle spalle, facendosi strada a forza di “machete”, fino a raggiungere i terreni loro assegnati proprio nella foresta, a nord dei territori pianeggianti e più fertili occupati dalla emigrazione tedesca 50 anni prima. Si può immaginare il costo umano di tutto ciò dopo che essi avevano tagliato i ponti dietro di sé, vendendo i loro poveri averi prima di partire dall’Italia.
A Lissa la marina austro-veneta combatté e vinse per mare contro la marina italiana/piemontese. Era il 20 luglio e la Battaglia di Lissa passò alla storia come l’ultima grande vittoria della flotta veneta (la maggior parte dei marinai infatti provenivano dalle terre dell’ex Repubblica Veneta): gli ordini venivano dati in lingua veneta e al grido “….daghe dosso, Nino, che la ciapemo” l’ammiraglio Tegetthoff ordinò a Vincenzo Vianello da Pellestrina sul finire della battaglia lo speronamento della corazzata “Re d’Italia”, che affondò di lì a pochi istanti. Di fronte a quella vittoria gli equipaggi veneti risposero lanciando i berretti in aria e gridando “Viva San Marco!!”. Questo era ancora lo spirito delle genti Venete.
PERASTO: il saluto in lacrime alla Bandiera Veneta
UNESCO RED BOOK ON ENDANGERED LANGUAGES (1993-1999)