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Dizionario veneto de “el Galepin”

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Di seguito è possibile visualizzare l’elenco delle parole venete con rispettivo/i termine/i in Italiano e Inglese.

L’archivio, di libera consultazione, comprende 37000 circa locuzioni venete.

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Facebook ultima spiaggia per le lingue antiche. La battaglia vinta dai còrsi

Le traduzioni del social a disposizione degli utenti sono ormai 101. Oltre, dal cherokee all’yiddish, arriveranno còrso, maltese e fula. L’attore e performer virale Edoardo Mecca: “Arricchiscono il dibattito, danno curiosità ai giovani sulle loro culture”
di S.Cosimi – fonte: repubblica.it

DAVVERO il futuro delle lingue e dei dialetti in pericolo d’estinzione passa da un Like? Stando alle battaglie degli ultimi mesi, come quella vinta dai sardi che hanno la loro versione di Facebook dallo scorso luglio, sembrerebbe proprio di sì. A rinfrancare le speranze delle comunità internazionali che vedono il proprio idioma minacciato c’è anche la recentissima vittoria dei parlanti còrsi. Il primo passo, due anni fa, fu l’impegno di una mezza dozzina di persone coordinate da Vannina Bernard-Leoni dell’università di Corsica per tradurre buona parte dei termini inglesi più utilizzati sulla versione americana di Facebook. Da “Friend” a “Invite” passando per “Condividi” o per il buon vecchio “Poke”, diventato “Stuzzicà”. Solo il calcio d’inizio di un percorso durato molti mesi e che ha coinvolto circa duemila persone, impegnate a ribaltare l’intero vocabolario del social network più famoso e popolato del mondo.

Il risultato è stato raggiunto. Da giovedì scorso, fra l’altro in occasione dell’International Translation Day, la piattaforma di Menlo Park è appunto navigabile in còrso e in altre due lingue, maltese e fula, una lingua dell’Africa occidentale parlata in otto Paesi, dal Benin alla Nigeria. La disponibilità complessiva è ora a 101 opzioni. Certo, se si considera che secondo l’Unesco delle 6mila lingue parlate nel mondo la metà è considerata in pericolo il lavoro sembra titanico. Ce ne sono anche in Europa, lo racconta l’Atlante mondiale delle lingue a rischio consultabile anche online: limitandoci alla categoria più leggera, quella delle lingue considerate “vulnerabili”, l’organizzazione delle Nazioni Unite infila il siciliano, il basso sassone, il latgaliano o il ruteno. Tuttavia in particolare per quelle ad altissimo rischio, quelle cioè che i bambini non imparano più da piccoli, l’impegno di una piattaforma come Facebook va oltre il dato concreto per farsi elemento simbolico di sensibilizzazione. L’idea è gettare un amo alle generazioni più giovani, puntando sulla fascinazione per la riscoperta delle proprie origini.

“Tradizione, cultura, opinioni diverse: c’è così tanto che passa attraverso la lingua che è vitale trasportare questi idiomi in pericolo su Facebook. L’obiettivo è sempre quello di aprire la comunicazione e connettere più persone” spiegano dal gruppo californiano. D’altronde, sulla piattaforma va fortissimo anche la possibilità di traduzione dei post, con oltre due miliardi di testi al giorno. Delle 101 lingue in cui il sito è disponibile nove appartengono alla categoria di quelle a maggior rischio di sparizione: ci sono il basco, il gallese, il berbero ma anche il faroese parlato da 66mila persone, in buona parte alle danesi isole Fær Øer. Altrettante sbarcheranno fra le 40 nuove in elaborazione, ci si sta già lavorando: fra queste il cherokee, parlata da neanche 20mila persone, e l’yiddish.

Interessante anche il modo in cui ci si arriva, a questi risultati. Tramite una sorta di crowdsourcing dei parlanti che, di solito dopo una prima mobilitazione spontanea attraverso i gruppi come accaduto con il còrso, possono collaborare attraverso un’applicazione dedicata. Ovviamente insieme a una squadra di ingegneri ed esperti, il Facebook Translation Team, che lavora con le comunità e scrive codice in grado di supportare le diverse variazioni. “Non è il tipo di business che porta ricavi – ha spiegato alla Cnn Iris Orriss, direttore dell’internazionalizzazione e localizzazione di Facebook – la missione del social è consentire alle persone di condividere e rendere il mondo più aperto. La lingua fa parte di questo percorso”.

“Proporre Facebook nei dialetti regionali o in lingue in pericolo è un’iniziativa positiva – racconta lo scoppiettante Edoardo Mecca, 29enne attore, regista e imitatore protagonista lo scorso anno di un video virale sui social network nel quale in pochi minuti affronta tutti i dialetti italiani – certo si tratta di decisioni simboliche ma credo possa servire specialmente alle nuove generazioni. Insomma, in un periodo in cui Facebook ci toglie spesso la curiosità di approfondire le cose, sapere che persone da comunità tanto diverse e magari piccole hanno l’opportunità di dire la loro e di interagire con noi è senz’altro stimolante”. Un Facebook plurilingue, insomma, è un Facebook più ricco e divertente: “Tutto quello che riguarda la cultura va nella giusta direzione – aggiunge l’artista torinese che vive a Roma, social star da 545mila fan su Facebook con uno spettacolo teatrale in cantiere e tante apparizioni in tv – fra l’altro, dal mio punto di vista, dialetti e lingue forniscono gestualità e movimenti nuovi e diversi dai quali soni in grado di arricchirmi. Insomma, puntare a coinvolgere chi rimarrebbe tagliato fuori con un occhio ai ragazzi è una cosa molto utile e bella”. E se volete richiederne una nuova di zecca, di lingua o dialetto, potete farlo attraverso questo modulo: chissà che non possa essere la 102esima.

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Dizionario del dialetto veneziano di Giuseppe Boerio

“Tengo per fermo di far opera non inutile e segnatamente non disaggradevole alla generalità dei zelanti Cultori del nostro bellissimo, espressivo ed armonioso Dialetto, imprendendo la ristampa di questo Dizionario e corredandolo di numerose ed importanti Aggiunte” – Venezia, 1856

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Lingua Veneta

Convegno sulla Lingua Veneta

Il Convegno “VENETO, NA LENGOA EUROPEA” è stato organizzato nel 2004 dall’Associazione Veneto Nostro – Raixe Venete.

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VENETO:
dialetto o lingua?

Dibattito in diretta sulla lingua veneta: patrimonio da difendere o da abbandonare? Vera e propria Lingua o dialetto dell’italiano? Testimone prezioso da passare alle nuove generazioni o valore da abbandonare in una società dove dobbiamo obbligatoriamente parlare italiano e rifiutare le nostre radici venete?
– con Davide Guiotto

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Intervista sulla
Lingua Veneta

Intervista ad Alessandro Mocellin realizzata da Rete Veneta il 28 marzo 2011.

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L’alfabeto della Lingua veneta

Dino da Sandrà e Lodovico Pizzati insegnano ai bambini l’Alfabeto Veneto.

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Italiano lingua OGM? E il Veneto?

L’Italiano è una lingua “geneticamente modificata”, cioè artificiale? Come è nata, come si è evoluta e quali caratteristiche ha? Può l’Italiano, lingua artificiale, essere un modello di riferimento per definire lo status linguistico di “lingua o dialetto” di una lingua naturale e viva come il Veneto?

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Il Brasile riconosce la lingua veneta

Il Brasile riconosce la lingua veneta vero e proprio monumento della cultura degli stati meridionali.

Martedì 18 novembre 2013 nella città di Foz de Iguazu, il ministro federale della cultura del Brasile Marta Suplicy, riconoscerà ufficialmente il talian (o veneto-brasiliano) come “Patrimonio Culturale Immateriale del Brasile”; il talian sarà la prima lingua minoritaria brasiliana a cui verrà dato questo riconoscimento. Lo comunica Paulo Massolini, presidente della Fibra (Federazione delle Associazioni Italo-Brasiliane del Rio Grande do Sul), ma soprattutto artefice del movimento per il riconoscimento del taliàn che da oltre venti anni è promotore di svariate iniziative per la tutela, la valorizzazione e il riconoscimento del taliàn. Commosso, Paulo Massolini, chirurgo di lontane origini vicentine, dedica questo riconoscimento alla straordinaria figura di Padre Rovilio Costa, vero e proprio monumento della cultura taliana, instancabile studioso, editore, animatore delle comunità presenti nei tre stati meridionali del Brasile (Rio Grande do Sul, Paranà, Santa Catarina) mancato cinque anni fa.
Padre Rovilio Costa disse «Solo il taliàn è in grado di tradurre la nostra esperienza di immigrazione, il nostro amore per la famiglia e il lavoro». Ma come si può definire “al taliàm”? Gli studiosi definiscono el talian (o veneto-brasiliano), l’ultima lingua neo-latina conosciuta, singolare koinè su base veneto-centrale nella quale si innestano termini brasiliani; una lingua “viva”, usata quotidianamente sul lavoro o all’università, per scrivere canzoni e poesie, in teatro, alla radio o alla TV. Ecco come la descrive Darcy Loss Luzzatto autore di un vocabolario “Brasiliano-talian” di oltre ottocento pagine: «I nostri vecii, co i ze rivadi, oriundi de i pi difarenti posti del Nord d’Italia, i se ga portadi adrio no solche la fameia e i pochi trapei che i gaveva de suo, ma anca la soa parlada, le soe abitudini, la soa fede, la so maniera de essar…. Qua, metesti tuti insieme, par farse capir un co l’altro, par forsa ghe ga tocà mescolar su i soi dialeti d’origine e, cossita, pianpian ghe ze nassesto sta nova lengua, pi veneta che altro, parchè i veneti i zera la magioranza, el talian o Veneto brasilian».
Nel vocabolario troviamo, per esempio, un termine praticamente intraducibile in italiano, ma che i veneti conosconono benissimo “freschin”: in brasiliano diventa “odor desagradavel” e per spiegarlo meglio l’amico Darcy aggiunge un «Che bira zela questa? La sa de freschin!» che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni… La procedura per il riconoscimento era partita dal Comune di Serafina Correa, ove il consigliere Paulo Massolini, aveva fatto approvare il 13 novembre 2009, una legge comunale nella quale il “talian” viene dichiarato lingua “co-oficial” del comune; a Serafina Correa (Rio Grande do Sul) fin dal 18 luglio 1988 il talian è lingua ufficiale nella fiera che si tiene nell’ultima settimana di luglio. E’ straordinario come i discendenti di quei veneti che partirono nel lontanissimo 1875 (in seguito alle disastrose condizioni nelle quali il Veneto si era venuto a trovare dopo l’annessione all’Italia) abbiano conservato un simile patrimonio d lingua, cultura, civiltà; ed è ancora più incredibile se pensiamo che, durante la seconda guerra mondiale il “talian” venne proibito dall’allora dittatore Getullio Vargas.
Il Brasile entrò in guerra a fianco degli alleati e proibì sia l’uso del talian che del tedesco; diversi emigranti finirono in carcere e la loro non fu una sfida politica ma l’impossibilità di parlare un’altra lingua che non fosse il “talian”; ma nonostante questo la lingua dei veneti del Brasile ne è uscita più forte e più viva che mai. Un altro pericolo per la lingua dei veneti “de là de l’oceano” è costituito da quei docenti che partono dall’Italia con l’obiettivo di portare la lingua italiana “grammaticale” come viene da loro chiamata. Ecco quanto denunciava sempre Padre Rovilio Costa, un messaggio chiaro e senza fronzoli, diretto a chi arriva dall’Italia e dal Veneto: «Prima de tuto, che i italiani, sia veneti o de altre region, i vegna in Brasil rispetando la nostra cultura taliana, la nostra lengua che la ze el talian, no par imporre el so modo de veder e de far».
Ettore Beggiato

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Talian (Veneto-Brasilian) – La nostra vera lengua madre

Splendido video realizzato dalle comunità dei Veneti in Brasile. Dopo decine e decine di anni, l’identità Veneta è ancora viva e tutelata, a quasi 10.000 kilometri dalla madrepatria…

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“Lotto ogni giorno per la Lingua Veneta”

intervista realizzata da Valentina Baldan – in collaborazione con l’Associazione “Veneto Nostro – Raixe Venete” – allo scrittore ed editore Darcy Loss Luzzatto.
Tema dell’intervista: la LINGUA VENETA e la sua valorizzazione.

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La Santa Messa in Lingua Veneta

La Santa Messa celebrata e cantata in lingua veneta (el talian). “Mi no me garia mai pensà che’l Signor, un giorno, el parlesse anca lu come noantri. Desso sì se capimo propio col Signor e Lu el se capisse co noantri. E preghemo parché tuti i gabia la grassia dea Messa, confission, comunion e oio santo”, così recita l’introduzione alla funzione religiosa, registrata nel sud del Brasile presso una comunità veneta.

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Né leghista né retrogrado, il dialetto vuol dire cultura

Non è provincialismo, i dialetti sono i linguaggi dell’anima, dell’amore e della contemplazione ed è un peccato perderne il patrimonio linguistico

Non stiano a scandalizzarsi, i politici, funzionari e celebranti del pensiero unico mainstream per la perturbante proposta dell’assessore alla Cultura della Regione Lombardia Cristina Cappellini, di istituire nelle scuole occasioni di approfondimento della lingua lombarda.

Soprattutto lascino perdere l’accusa di provincialismo. E ancor più quella di essere retrò e fuori dal tempo. Perché se c’è qualcosa di antiquato e ridicolmente provinciale, con l’attuale crisi degli Stati nazionali per non parlare di quelli sovranazionali (come l’Europa), sono le arie di cosmopolitismo e internazionalismo di chi è saltato in groppa alla globalizzazione proprio nel momento in cui (copyright Carlo De Benedetti) essa sembra tirare le cuoia, e scarica i suoi improvvisati cavalieri esattamente lì dov’erano prima: i territori tradizionali, le nazioni vecchie di millenni e non di poco più di un secolo, le loro lingue impastate di storia, di sofferenza, di saggezze e risate popolari.

È da più di 20 anni, infatti, che si discute, non al bar sport ma nelle più prestigiose università del mondo, di crisi degli Stati nazionali (nati nell’800 con la fine dei grandi imperi continentali), e delle loro lingue burocratiche, create dai funzionari per farsi capire dai loro nuovi cittadini, anche per farsi pagare altre tasse, inventate allora. Sul piano letterario e linguistico poi la questione era nata subito dopo la nascita dei nuovi Stati. In Italia, per esempio, con le diverse redazioni de I promessi Sposi, scritto dal Manzoni prima in una lingua ancora impastata di milanese, e poi rivisto «bagnati i panni in Arno».

Continuò così anche nel ‘900, con Carlo Emilio Gadda che sentiva il bisogno di riprendere non solo i lombardismi, ma gli ispanismi ormai penetrati nell’anima lombarda e da lì mai usciti; Pasolini che poetava in friulano, Biagio Marin in veneziano, e così via. Senza dimenticare naturalmente Belli e Trilussa, e tutti gli altri. Ci sarà pure una ragione se tre quarti della poesia italiana non è scritta «in italiano». Il fatto è che almeno tre quarti delle nostra anima non è riducibile all’orrido burocratese fiscal-televisivo cui ormai è ridotta la lingua che fu di Dante e Petrarca. Con la complicità di migliaia di professori altisonanti e di burocrati che hanno ucciso un idioma che certo era stato una delle grandi lingue europee, con la sua ricca costellazione di lingue locali.

Per fortuna, però non hanno potuto, nella loro sete di autopromozione sociale (l’italiano burocratico era considerato «fine» da chi non parlava le lingue più antiche), uccidere i linguaggi dell’anima, quelli dell’amore e della contemplazione. Quelli (anche) delle ribellioni ai birbanti di turno, austriaci, spagnoli, francesi, ma poi delle burocrazie nazionali, dei «lei non sa chi sono io», da dovunque venissero.

Mentre noi si andava scoprendo tutto questo, e i nostri grandi scrivevano poesie (e canzoni: quelle napoletane ad esempio, ovviamente più amate nel mondo di qualsiasi nostro inno), negli altri paesi «forti» europei accadeva qualcosa di molto simile. In Francia le regioni nel sud andavano riscoprendo le loro radici occitaniche, e si facevano tesi nella langue d’oc, la più antica lingua del continente. In Spagna si riscopriva il catalano, il basco (gli autonomisti hanno vinto le elezioni tre giorni fa), la cui dignità linguistica oggi non è più contestata, così come la legittimità dei movimenti che la rivendicano. Lo stesso in Inghilterra, in Cornovaglia, nel Galles, per non parlare della Scozia. E dovunque, altrove.

Allora, egregi dignitari, dov’è lo scandalo? Perché mai in Lombardia, dove in casa i nonni parlavano il lombardo e il francese (e qualche parola di tedesco), dovremmo dimenticare tutto per parlare il romanesco povero della Tv? È noto che il recupero degli aspetti forti dell’identità (come è la lingua tradizionale), tranquillizzino tutti, chi sta lì da secoli, e chi arriva adesso. È la povertà, soprattutto culturale e spirituale, che rende aggressivi. Nessuno, dunque, ci tolga le nostre parole. Anzi, ridatecele.

 

Fonte: ilgiornale.it – 29/09/2016

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Sfatiamo un po’ di luoghi comuni sulla lingua veneta

In questo intervento il dr. Michele Brunelli analizza e risponde a comuni osservazioni erronee che si sentono spesso pronunciare per delegittimare il veneto come lingua e per minimizzarne l’importanza.

Capire l’infondatezza di certi luoghi comuni, frutto spesso di una scarsa conoscenza dell’argomento e a volte di malafede, aiuta non soltanto ad avere una visione più obbiettiva del tema trattato,  ma a rapportarci con esso in maniera più positiva e costruttiva.

1) Ci sono tanti veneti diversi, non c’è il veneto. Per esempio i vicentini dicono te magni, i trevigiani te magna ; a Venezia e nelle città padovane e vicentine dicono ‘a scóea mentre a Verona, Belluno e nei piccoli paesi dicono la scóla…

Sbagliato: ci sono tante varianti venete che in realtà hanno in comune la gran parte delle caratteristiche. Queste caratteristiche comuni a tutte le varianti venete sono, invece, ben diverse da quelle dell’italiano. Per esempio si può dire te magni, te magna, ti magna… ma comunque resta il fatto che tutte le varianti venete hanno il soggetto obbligatorio alla 2nda persona singolare e alla 3rza sing/plur. : cosa che in italiano non succede.
Inoltre, molte differenze tra varianti sono solo apparenti. Spesso sono solo delle pronuncie diverse che si possono rappresentare con una grafia unica. Per esempio la scóla e ‘a scóea si possono scrivere nello stesso modo: la scóla con la L-tajà che si pronuncia in due modi diversi.

2) Però è anche vero che in vicentino-padovano-rovigotto e veneziano preferiscono dire el ga parlà, la ga parlà mentre a Verona, Belluno e in altri posti usano una forma unica l’à parlà ; i primi dicono el xe, la xe mentre i secondi dicono l’è…: visto che ci sono tanti veneti, e non uno solo?

Sbagliato: anche in inglese ci sono dei verbi con forme doppie: si può dire you have oppure you’ve ; he is/he has oppure he’s ecc… e nessuno si è mai sognato di dire che l’inglese non è una lingua unica… Ma lo spagnolo fa anche peggio: si può dire hablase, hablases, hablásemos… o anche hablara, hablaras, habláramos (=parlassi, [tu] parlassi, parlassimo…) cioè ha doppie forme per tutte le persone del condizionale di tutti i verbi regolari: ma nessuno ha mai detto che ci sono due lingue spagnole.

3) Ma, certe volte, le varie parlate venete hanno parole completamente diverse per indicare una stessa cosa. Per esempio alcuni dicono sórzxe mentre altri preferiscono rato e altri ancora morécia (o moréja) : queste non sono semplici differenze di pronuncia.

Vero: ma questo è un fenomeno che si può trovare anche in altre lingue: i famosi sinonimi. Col tempo, poi, alcuni diventeranno più frequenti di altri, o acquisteranno un significato più “elegante” come è capitato tempo fa in italiano. Ma spesso gli scrittori litigano per poche differenze mandando in estinzione tantissime caratteristiche linguìstiche comuni a tutto il veneto.

4) Anche se ci sono differenze, è facile unificare il veneto perché esiste già una “koinè”: quella che si parla nelle città.

Attenzione:
il veneto parlato nelle città è abbastanza unificato…ma è poco veneto e tanto italianizzato. In città tendono a dire chiùdeme la porta invece della forma corretta sàrame la porta. I giovani dicono i sta rivando invece della forma giusta i xe drio rivar ; si sente dire i ce dixe / ce vedémo invece che le forme giuste i ne dixe / se vedémo; e ancora el se xe conprà na màchina invece della forma corretta el se ga conprà na màchina… Se fate caso, invece, tra gli anziani (che conoscono meno l’italiano) e nei paesetti (dove l’italiano è meno parlato), si usa un veneto più genuino e meno corrotto.
Quindi spesso la koinè veneta delle città è un italiano “travestito” da veneto.

5) Ma è inevitabile che il veneto venga sempre più influenzato dall’italiano; che le forme italiane prendano il posto di quelle venete. E` un fenomeno che avviene anche con altre lingue, come per esempio tra italiano e inglese: in italiano si trovano sempre più parole inglesi (e francesi). Non si può pretendere di tornare indietro.

Sbagliato: pensateci. Lo scambio linguistico tra italiano e inglese è uno scambio naturale tra due lingue riconosciute ufficialmente, utilizzate in televisione per film e conferenze, insegnate obbligatoriamente nelle scuole (una in Italia, l’altra in G.Bretagna). Il veneto, invece, non ha questo supporto. Non ha una forma ufficiale, non viene utilizzato nei giornali, non viene insegnato obbligatoriamente a scuola, non ha neanche un canale televisivo ufficiale. Quindi lo scambio tra italiano e veneto non è uno scambio naturale tra due lingue paritarie, ma uno scambio sbilanciato a favore dell’italiano che gode di facilitazioni e del supporto ufficiale dello Stato, della televisione, della scuola. Ma tanti, pensando che questo fenomeno di decadenza sia inevitabile, rinunciano a diffondere il veneto e così contribuiscono ancora di più alla sua estinzione: trasformano una conseguenza in causa. Il famoso “gatto che si mangia la coda”.

6) In ogni caso, che importanza ha la diffusione del veneto? In fin dei conti l’italiano è una lingua più raffinata, più nobile mentre parlare veneto è meno prestigioso.

Sbagliato: la diversità linguistica, in teoria, potrebbe derivare da due cause. 1) da diversità di tipo “grammaticale”, ossìa il fatto di avere regole grammaticali diverse. 2) di tipo “lessicale”, ossìa il fatto di avere magari regole uguali, ma diverse parole per indicare una stessa cosa.
Bene, guardiamo: le differenze grammaticali non rendono una lingua più o meno nobile. Per esempio, l’ italiano non ha il soggetto obbligatorio (si dice canta) ma è lo stesso una lingua di un certo prestigio; l’ inglese e il francese, invece, hanno il soggetto obbligatorio (si deve dire he sings, il chante) proprio come il veneto (si dice el canta) ma nonostante questo non sono meno prestigiose delll’italiano.
Per quanto riguarda le differenze lessicali si può dire la stessa cosa: non producono differenze di prestigio. Per esempio tanti veneti dicono bicier perché credono che goto sia un termine troppo volgare: invece, una lingua europea ufficialmente riconosciuta (il catalano) usa proprio il vocabolo got per tradurre l’italiano “bicchiere”. Anche l’aggetivo inbriaga (inbriago), in veneto è una parola di uso normale mentre il corrispondente catalano embriaga (embriac) appartiene allo stile alto, fa parte di un modo di parlare molto ricercato. Quindi se parole praticamente identiche possono avere “eleganze” diverse in lingue diverse vuol dire che il lessico non è per forza collegato al prestigio. Ancora: tanti ragazzi si vergognano di dire verto, ma in francese si dice tranquillamente ouvert. Il verbo tastar (con il senso di”assaggiare”) ha un corrispondente inglese to taste… Un altro esempio è la parola culo che è apparentemente volgare. Ma in veneto si può anche dire el culo de la màchina, el culo de la botilia dove questo termine ha semplicemente il significato di parte posteriore. (non succede solo in veneto: in fin dei conti di dietro in italiano può aver due signifcati: uno normale ma anche uno più volgare: “dare un calcio nel di dietro” dove di dietro=culo…). E` l’italiano che spesso dà una sola traduzione volgare alle parole venete, mentre in veneto possono esserci due significati, uno volgare e l’altro no.

7) Però l’italiano ha molti termini per indicare oggetti e stili di vita moderni; al veneto mancano. E in generale l’italiano è ricco di parole, il veneto no.

Solo questione di tempo, voglia e onestà: pensate davvero che al tempo dei Romani o di Dante i dizionari contenessero la parola automobile ? E` stata creata quando ce n’è stato bisogno. In vèneto si può fare lo stesso ma spesso, invece, la gente preferisce utilizzare vocaboli italiani perché pensa che siano più eleganti e dopo si lamenta che il veneto non ha parole e che deve prenderle in prestito dall’italiano: gatto che si mangia la coda! Anche perché come si vede al punto (5), molte volte, le varianti venete danno la possibilità di scegliere tra diversi sinonimi per lo stesso oggetto: altro che vocabolario povero! Solo che le differenze dell’italiano vengono considerate ricchezze, quelle del veneto vengono considerate un segno di poca unità: due pesi due misure!

8) Parlare veneto è segno di campanilismo e di chiusura: bisogna aprirsi al mondo.

Proprio per questo: i nostri bisnonni dicevano in veneto butiro / butiéro (=burro). Questo termine è collegato al greco boutyros e che si ritrova in termini moderni come acido butirrico / butyric acid. Addirittura una lingua globale come l’inglese moderno dice tutt’ora butter. I nostri genitori invece ci hanno insegnato che è meglio burro (più simile all’italiano). Avevamo un termine moderno e internazionale e ci hanno insegnato a preferire l’italiano. Cos’è più aperto e internazionale? Il termine veneto (collegato al greco antico, ai moderni neologismi e all’inglese globale) o l’italiano ?

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Veneto: lingua o dialetto? Una lingua è… (parte 1)

Una lingua è la sua oralità, in quanto nasce orale, si trasforma per via orale ed è dichiarata morta quando non ci sono più parlanti (madrelingua). I documenti che essa ha lasciato scritti o registrati nel tempo sono solamente le sue vestigia: ogni registrazione scritta è un’orma, una traccia del passaggio di quella lingua in quel territorio ed in quel tempo. Le difficoltà della paleolinguistica, infatti, sono paragonabili –mutatis mutandis– a quelle della paleontologia: da orme coerenti di un dinosauro possiamo ricavare alcune preziose informazioni, quali la sua struttura (bipede o quadrupede) e la sua stazza, tramite un calcolo dello sprofondamento nel terreno; così un documento può lasciarci testimonianza di un registro linguistico, o comunque notizie lessicali etc…. Trovare invece un fossile intero è paragonabile al rinvenimento di un testo metalinguistico, cioè un testo che va oltre la lingua, generalmente che “spiega” la lingua: si potrà rinvenire magari un trattato di fonetica, un dizionario di lessico e pronuncia, un manuale di grammatica, etc… Insomma, si tratta di inferire da dati non sistematici (linguistici o biologici) le caratteristiche di un sistema che non si conosce, anche con la comparazione con altri sistemi già noti (per esempio verificando la compatibilità di alcune caratteristiche del sistema incognito con le evoluzioni di esso che si trovano nei sistemi presenti, biologici o linguistici, da esso derivanti).

Ecco, dunque, l’importanza scientifica di una strumentazione grafica che sappia produrre impronte fedeli ed univoche del sistema linguistico, altrimenti una lucertola può venir scambiata per un dinosauro e viceversa (cioè si possono ingigantire o sminuire alcuni nodi problematici, della fonetica specialmente).

Venendo invece a trattare di quale sia il ruolo di una lingua “nel presente”, è appena il caso di far notare come una lingua sia in realtà il primo sistema espressivo complesso con il quale l’essere umano neonato si scontra, appena dopo le forme di gestualità e di espressione non articolata (es. pianto, singhiozzo, suzione digitale, etc…). Le capacità e le modalità espressive di ciascuno, insomma, si plasmano tramite la sua lingua madre, e con esse anche lo sviluppo di determinate abilità intellettuali e comportamentali: in parole più semplici, una lingua è di per sé una mentalità. Ciò non comporta che alcune abilità non si sviluppino o si ultrasvilppino, ma che vi sia meno o più terreno fertile in una lingua per tale abilità o mentalità. Si tratta insomma, non di implicazioni logiche o di altre leggi scientifiche esatte, bensì di fattori tendenziali, verificabili e sindacabili unicamente (ove possibile) sul dato aggregato dei parlanti.

Ma veniamo alla domanda di questo capitolo: “lingua o dialetto?”. Beh, in vero, dal punto di vista scientifico, non v’è alcuna differenza. Ogni “sistema concluso di regole grammaticali, sintattiche e morfologiche che si serve di un set lessicale e di un set fonetico” è una lingua. Semmai, sono fattori comparatistici che ci possono far parlare di “dialetto”. Un dialetto, però, non è una “lingua minore/minoritaria”. Un dialetto è, per dirlo con un termine meno esecrato e stereotipato negativamente, una variante di una lingua. Preso, dunque, un fascio (cioè un insieme) di tali suddetti “sistemi linguistici conclusi”, li si può raggruppare secondo canoni di “minor varianza”: minore sarà la varianza, maggiore sarà la vicinanza tra “sistemi linguistici”, fino alla comunione di uno zoccolo così consistente da far tranquillamente parlare di “varianti della stessa lingua”. Ovviamente, tale valutazione deve essere un “tutto sommato”, e ponderata a seconda della rilevanza dei vari fattori, che possono essere non solo grammaticali, morfologici, sintattici, lessicali e fonetici, ma anche geografici e storici: per esempio una forte immigrazione (vedi la lingua veneta negli Stati del Sud del Brasile); la soggezione alla stessa entità politica per un certo periodo (es. bresciano e bergamasco nella Serenissima); il monopolio linguistico di una lingua in un certo settore della conoscenza (es. l’inglese per l’informatica); ed altri simili fattori, raccolti e valutati con una dose di realismo e di buon senso.

Perché, qualcuno si sarà chiesto, specificare queste “quasi-ovvietà”? L’Autore ritiene che si debba mettere un po’ di ordine, non tanto ai concetti accademici, quanto alle conoscenze del cittadino medio, abbandonate a stereotipi che dire ottocenteschi è ancora poco. Vi è però un ostacolo enorme per raggiungere un generale riconoscimento del valore delle lingue locali, ancora scelleratamente definite “dialetti” in senso spregiativo, forse solo in Italia. I Veneti, così come gli altri italofoni, si sono abituati ad un errato esempio di lingua: l’italiano non solo ha una grafia ed una dizione standard, ma anche è una lingua canonizzata e smussata fin dalla creazione, in quanto è una lingua di creazione intellettuale, cioè una lingua nata scritta prima che parlata: artificiale, in una parola. […]

Insomma, il canone ideale di “lingua” non può essere l’italiano, in quanto esso è stato creato, è frutto di un atto volontaristico di pochi, ed è sincretismo intellettuale di altre lingue (principalmente toscano-fiorentino, veneto-veneziano e siciliano, anche se è tutto da vedere, ed uno studio di tenore scientifico non sembra essere mai stato approntato). In poche parole, l’italiano può essere definito, con idea moderna, un “esperanto italico”. Purtroppo, questa mentalità non viene smentita con lo studio scolastico di lingue straniere, in quanto non si dà mai notizia delle variabilità, soprattutto fonetiche e lessicali, che vivono in ogni lingua: studiando l’inglese, giusto per parlare di una lingua straniera “obbligatoria” nelle scuole italiane, allo studente viene insegnato solo l’assetto standard della lingua (nel caso dell’inglese, si insegna la parlata Londinese, cioè della capitale), senza mai nemmeno accennare discorsivamente all’esistenza profusa di varianti. Questo spesso avviene a causa dell’ignoranza del fenomeno da parte dell’insegnante stesso, ma in altri casi viene taciuto (in buona o mala fede): purtroppo, la mentalità linguistica dominante in Italia è che la varietà e la variabilità siano dei difetti, delle degenerazioni, che portino una lingua a “sporcarsi”, ad imbastardirsi. Ecco, nulla di più deviato ed irreale può dirsi di una lingua. Tale mentalità è la più distruttiva in assoluto per la scienza linguistica e per la didattica e l’assimilazione consapevole delle lingue. Questa croce è anche la causa (e l’effetto, in un circolo vizioso) di un insegnamento linguistico troppo incentrato sulla nozionistica lessicale e grammaticale (in senso lato), invece che sulla conversazione in lingua.

Che dire, insomma, del veneto? Dialetto o Lingua? Beh, evidentemente si deve parlare di Lingua Veneta, per ragioni scientifiche, per ragioni storiche, per ragioni sociali. Diamo ora le notizie fondamentali che sostengono la consistenza di tale asserzione (vd. Parte 2).

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Il presente brano è tratto, su autorizzazione dell’Autore, da “Libera Grafia Universale & Dossier sulla Lingua Veneta” (2010), di Alessandro Mocellin, Ed. Scantabauchi. Tutti i diritti restano riservati all’Autore. Qualora si intenda riprodurre altrove brani del testo qui riprodotto, contattare l’Autore scrivendo una mail a liberagrafiauniversale@gmail.com.

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Veneto: lingua o dialetto? Una lingua è… (parte 2)

Perché il Veneto è una lingua: ragioni Storiche e sociali

Con l’espressione “ragioni storiche e sociali” possiamo raggruppare dati statistici e realtà di fatto del passato e del presente che ci consentono di comprendere come l’uso ampio e vario (anche socialmente) della lingua veneta sia persistito e vitale ancor’oggi, pur messa a confronto con la concorrenza sleale dell’italiano e spietata dell’inglese.

Sleale la concorrenza dell’italiano in quanto si è fatto (ed ancora si fa) di tutto per sminuire, ridicolizzare, schernire e soffocare la lingua veneta, insieme alle altre lingue storiche italiche e subalpine, senza neanche tanti complimenti. Questo atteggiamento coloniale è vergognoso da un punto di vista umano, disgustoso da un punto di vista politico e ingrato da un punto di vista culturale. La cultura veneta in tutti i suoi ambiti ha potentemente contribuito al progresso scientifico e culturale dell’Europa intera: la Serenissima aveva una produzione culturale straordinaria e sapeva attrarre nella sua orbita “cervelli” e capitali in fuga da regimi liberticidi o in cerca di “ispirazione” (un Petrarca, un Galileo, un Bruno, un Goethe od un Byron; anche Shakespeare, a quanto rivelerebbero recenti ipotesi), un po’ come gli Stati Uniti d’America quando in Europa imperversavano i totalitarismi, così come al giorno d’oggi. Se ciò non bastasse, esponenti grandissimi della teorica della lingua comune italica (poi chiamata italiano) furono i veneti Pietro Bembo (veneziano di nascita, trevisano d’adozione) e Gian Giorgio Trissino (vicentino, seppur poi esiliato per questioni politiche). Il contributo non fu unicamente intellettuale, ed oltretutto non per una creazione linguistica ritenuta estera, bensì un contributo anche in termini di prestiti linguistici, specie in registro alto, e di prestigio, anche presso le corti europee e non solo: “anca al Sultàn, parlèghe in venesiàn” era il consiglio agli ambasciatori ed ai diplomatici della Serenissima, segno di potere, sicurezza, fierezza. Più che di “prestiti” dal veneto all’italiano, visto l’odierno sprezzo italiano per la lingua veneta, forse dovremmo cominciare dunque a parlare di “furti”.

Dall’altra parte invece la spietata concorrenza dell’inglese. V’è da dire però una cosa fondamentale: la concorrenza dell’inglese è giustificata, nel senso che esso si è diffuso “per merito”, conquistando sul campo interi settori di conoscenza (es. la tecnologia). Questo inoltre è un tipo sano di concorrenza linguistica, in quanto l’inglese non pretende assolutamente di sostituirsi in toto alle altre lingue, ma si sta pian piano sovrapponendo, come lingua franca, cioè una lingua “in più, aggiuntiva” per la “sicura comunicazione” tra due persone che non hanno altre lingue in comune: quindi con un criterio di impiego residuale. L’italiano, invece, è nato storicamente come creazione intellettuale (quella sorta di “esperanto italico” di cui si è già parlato) al fine di diventare “lingua franca” tra i diversi popoli, non lingua unica ed esclusiva dei diversi popoli storici poi raggruppati nel toponimo politico “Italia”. La vera differenza tra il progetto di “italiano” umanistico-rinascimentale e quello poi attuato in epoca savoiarda sta forse proprio qui: nessuno pensava all’imposizione dell’italiano a danno delle lingue storiche, così come nessun intellettuale auspicava la sottomissione di tutti gli “italiani” ad un solo regno (men che meno manu militari, come è invece avvenuto), ma si optava per una federazione o per una confederazione, ritenendo folle e deleterio il voler riunire sentimenti, mentalità, diritti, economie e culture così diversi. L’idea dell’“italiano” come lingua degli “italiani” è sicuramente antica, mentre è moderna e giacobina l’idea che quel “volgare illustre” che Dante riteneva di dover creare, poi chiamato “italiano”, fosse da imporre a scapito assoluto delle prestigiose lingue storiche della penisola, della pianura padana e delle valli alpine, fino ad augurarne la morte, non naturale, ma violenta, in nome della lingua “una ed indivisibile”.

La principale motivazione portata per giustificare tale progetto è sostanzialmente quella di un intrinseco “minor valore” delle lingue “locali” rispetto all’italiano, in una assurda visione gerarchica tra lingue, dalla quale è poi scaturita quasi spontanea l’idea popolare che veneto, siciliano, napoletano, etc. siano “brutte copie locali” dell’italiano, quasi dei prodotti di massa derivati dall’ignoranza della vera lingua, cioè l’italiano.

Di per sé, fare una graduatoria delle lingue “importanti”, magari per decretare l’inutilità di certune, è come fare una graduatoria di gusto nei diversi piatti. I fattori da valutare sarebbero talmente tanti, vari e soggettivissimi da rendere inutile proprio tale graduatoria, specie visto che in fondo si andrebbe a disquisire su semplici opinioni, e “de gustibus non disputandum est”. Bisognerebbe considerare la finalità espressiva, il mezzo, il mittente ed il destinatario, il contenuto in sé e, soprattutto, i soggettivi significati e le intime emozioni che in maniera puramente soggettiva il mezzo linguistico specifico sa suscitare, specialmente sui madrelingua.

Si può limitare il campo specificando almeno dei settori di conoscenza, dei periodi storici e delle aree geografiche, così da poter individuare eccellenze, per dire che la lingua della tecnologia di oggi è sicuramente l’inglese, della diplomazia fu un tempo il francese (oggi ancora l’inglese), dei commerci mediterranei fu il veneto-veneziano, del diritto è stata per lunghissimo tempo il latino, della filosofia grandemente il greco antico ed il tedesco più recentemente, del cinema l’americano, della lirica massimamente l’italiano, dei manga il giapponese, etc… Bene, di tutte le altre lingue “non eccellenti” vogliamo dunque far piazza pulita? A qualcuno potrebbe venire l’insana tentazione di dir di sì, che in fondo il resto è triviale vita quotidiana: casa, bottega, campagna, piazza, mercato. Dimenticano costoro varie cose. Innanzitutto che tutte queste eccellenze sono in realtà ben accompagnate da prodi “secondi e terzi classificati”, e che nella storia nessun elenco può avere pretese di esaustività e di sempiterna verità, perché il mondo si evolve; secondariamente che in tutte le lingue (pur non grandemente eccellenti ed altisonanti) v’è una naturale e preziosissima produzione di arte poetica, prosaica, teatrale, musicale; infine, anche se fossero tali lingue –ma non lo sono– limitate a casa-piazza-bottega, questi sono gli ambiti più naturali, primi e primari per qualsiasi essere umano. Pertanto, anche il solo pensare di far piazza pulita di una sola lingua è un abominio, una violenza culturale, una distruzione dolosa di un patrimonio materiale ed immateriale di cui nessuno può conteggiare l’entità.

Ecco, tornando al nostro caso dopo queste giuste precisazioni generali, il Veneto come lingua ha avuto eccellenze culturali degne delle altre lingue europee, in produzione artistica e scientifica ed in prestigio. Oggi, invece, più che fiorire come ha liberamente fatto durante la Serenissima, esso deve “resistere” alla sleale concorrenza di un italiano monopolista (con la forza) della burocrazia, dei media, delle scuole, delle accademie e di tutto ciò che è pubblico. Un monopolio, però, non “neutro”, bensì intenzionalmente avanzante e volontariamente distruttivo nei confronti delle lingue storiche italiche e subalpine, relegandole con assurde giustificazioni accademiche a “dialetti” (con termine assolutamente scorretto dal punto di vista scientifico) e caricando il termine “dialetto” con un significato negativo e sordido che forse in nessun’altra lingua ha assunto.

[…]

Oggi la lingua veneta è molto utilizzata ed un recente studio Istat (pubblicato nel 2007) ci rivela che solo il 24% dei cittadini della Regione Veneto parla unicamente in italiano: tre quarti della popolazione la lingua veneta la comprendono, la usano o la saprebbero utilizzare, a diversi i livelli sociali e professionali ed in diversi contesti. Tale studio segnala anche che nella fascia degli studenti –la più educata nell’italiano– un generale aumento di attenzione per le lingue locali.

In Veneto, anche gli immigrati spesso apprendono la lingua veneta proprio per necessità di lavoro e di relazione, mentre gli immigrati italiani sono molto più restìi ad apprenderla, forse a causa delle campagne denigratorie contro i “dialetti” in genere, e della cultura veneta in particolare, bistrattata e ridicolizzata con rara viltà, anche e soprattutto negli àmbiti e con i mezzi del servizio pubblico, cioè denigrandoci con le tasse prelevate dalle nostre ricchezze frutto del nostro sudore e del nostro ingegno.

L’enorme emigrazione veneta all’estero, poi, è stata quasi una diaspora (fenomeno sconosciuto ai Veneti, anche sotto la dominazione asburgica) cominciata subito dopo l’arrivo dello Stato italiano e continuata fino al secondo dopoguerra, con la parentesi dell’emigrazione “interna” nel ventennio fascista che vede i Veneti spediti a bonificare le paludi dell’Agro Pontino ed a rendere coltivabili campagne intere in Sardegna.

Il veneto, dunque, si è diffuso quasi in ogni continente, portato con amore da chi era costretto ad abbandonare la propria ricca terra per tristi scherzi di un destino che ha voluto portare un tremendo ciclo di miseria ad una terra che per mille anni aveva creato e mantenuto uno standard sopra la media europea, per ricchezza, condizioni di vita, cultura. Troviamo oggi comunità piccolissime, di dimensioni interfamiliari, di parlanti veneto in ogni Stato d’America, in Australia, persino in Africa. Ma le due comunità venetofone più conosciute sono l’enclave in terra messicana di “Chipilo” [(leggi LGU: /Tsjipìlo”)] ed i due Stati più a Sud della Federazione del Brasile, ossia Santa Catarina e Rio Grande do Sul. In tali Stati la comunità venetofona è particolarmente consapevole della propria differente identità, frutto di una forte migrazione di Veneti nel corso delle ultime decadi dell’Ottocento. Tale lingua veniva chiamata “Talian”, nome che, pur suggerendo il significato di “italiano”, tradisce con somma evidenza gli accidenti generali veneti di aferesi della vocale iniziale non accentata e di apocope della vocale terminale del maschile singolare. Inoltre, ad un Veneto odierno “di madrepatria” che interagisca con i parlanti di questo c.d. “Talian” pare veramente di parlare un veneto più arcaico, più puro, ed in effetti si tratta della lingua dei nonni dei nostri nonni. Lo si nota soprattutto da certi “dinosauri lessicali”, perché per il resto la parlata è assolutamente comparabile a quella dell’alto Veneto (tra Belluno e Montebelluna, grossomodo). Ovviamente, i parlanti veneto-brasiliano utilizzano simbologie grafiche del portoghese, lingua con cui sono stati alfabetizzati dalle scuole. Allo stesso modo, a Chipilo il veneto si scrive con la grafia spagnola. Identicamente, in Veneto il veneto viene usualmente scritto con la grafia italiana. Questa è una prova evidentissima, se ancora ce ne fosse bisogno, del fatto che l’unità di una lingua si vede dalle caratteristiche della sua oralità, e la grafia (standard o non standard, l’una o l’altra) conta ben poco ai fini dell’integrazione di un modello ideale di “lingua”. La grafia, insomma, dovrebbe invece essere mezzo di trascrizione dell’oralità, congegnata per dare una testimonianza scritta veritiera e fedele.

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Il presente brano è tratto, su autorizzazione dell’Autore, da “Libera Grafia Universale & Dossier sulla Lingua Veneta” (2010), di Alessandro Mocellin, Ed. Scantabauchi. Tutti i diritti restano riservati all’Autore. Qualora si intenda riprodurre altrove brani del testo qui riprodotto, contattare l’Autore scrivendo una mail a liberagrafiauniversale@gmail.com.

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Venetian (or Venetan) language

The Statute of Veneto Region cites the “Venetian people” and UNESCO gives to Venetian language the status of not endangered language, as it is usually spoken in Veneto, part of Friuli-Venezia Giulia, part of Croatia, Rio Grande do Sul and Santa Catarina in Brazil; and Chipilo, Puebla in Mexico.

In 2007 Veneto recognized Venetian as official language of the region, alongside Italian, instituted an official website for standard Venetian and proclaimed a yearly “Day of the Venetian People” (Festa del Popolo Veneto) on 25 March, anniversary of the foundation of Venice.

While support for a federal system, as opposed to a centrally administered State, receives widespread consensus in Veneto, support for independence is less favoured. One poll estimated that 52.4% of Padanians north of the Po river consider secession advantageous (vantaggiosa), and 23.2% both advantageous and convenient (auspicabile). Another poll estimated that about 20% Padanians (18.3% in North-West Italy, 27.4% in North-East Italy) support secession in case Italy is not reformed into a federal State. However, according to a more recent poll (January 2010), 45% of Northeners and 52% of Venetians (including Friuli-Venezia Giulia and Trentino support the independence of Padania and, thus, in the case of Venetians of Veneto.

In the 2010 regional election, Liga Veneta was by far the largest party in the region with 35.2% of the vote, while its leader Luca Zaia was elected President of Veneto by a landslide 60.2%. The combined result of Venetist parties was 37.6%, the highest ever.

Soon after the 2010 regional election, Daniele Stival (Liga Veneta), new regional minister for Venetian Identity, appointed a commission of experts which will fix the rules of standard Venetian and the official Venetian names of all 581 municipalities of Veneto. The commissioners include: Rodolfo Delmonte, linguist; Gianfranco Cavallin, writer and linguist close to Raixe Venete; Sabino Acquaviva, sociologist and avowed Venetist; Michele Brunelli, linguist; Lodovico Pizzati, economist and secretary of Veneto State; Davide Guiotto, president of “Veneto Nostro – Raixe Venete”, on behalf of the Venetist movement.

Source: Wikipedia

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Insegnamento della Lingua Veneta a scuola

Egregio Direttore,

le polemiche suscitate in questi giorni attorno al tema dell’insegnamento della lingua veneta non mi sorprendono. Abituati – come ci hanno abituati – a vedere la nostra cultura come un elemento di poco conto, di serie B magari se paragonata ad altre come quella italiana, siamo di fronte a discorsi già sentiti, preconfezionati e venduti da 140 anni in quella fabbrica sforna-italiani che è la scuola di stato. “Fatta l’Italia bosogna fare gli italiani” ammonì a quel tempo preoccupato un certo Massimo d’Azeglio… ma prima dell’Italia, che per i Veneti esiste da 143 soli anni, cosa c’era? Che culture? Che lingue? Ebbene, il veneto era lingua internazionale e lo è stato per secoli, parlato negli scambi commeriali ma anche come lingua franca e della diplomazia.
Oggi invece, che dobbiamo sentirci per forza italiani, trattiamo la nostra lingua come dialetto o, come credono i nemici della nostra cultura, come un italiano parlato male.
“Impariamo i congiuntivi piuttosto del dialetto”, “impariamo l’inglese piuttosto…” e altre sterili polemiche nascono solo dall’ignoranza culturale di chi le dice. Mi chiedo, e come me tanti altri veneti le assicuro, perché se si parla di insegnare i veneto a scuola lo si deve paragonare ad altre culture? Non possono coesistere forse insegnamenti culturali diversi fra loro? Non abbiamo forse il diritto di apprendere chi siamo stati e chi siamo?
Che gli italiani non sappiano i congiuntivi cosa centrerebbe con l’insegnamento del veneto? Facciano un mea-culpa, dicano che i loro metodi di insegnamento fanno pena ma non tirino in ballo per cortesia la nostra cultura.
Vede, forse non tutti sanno che la lingua veneta non è fatta solo di lettere, una a fianco all’altra. E’ fatta di espressioni, proverbi, modi di pensare e di esprimersi specchio di una saggezza popolare che è nostra e che ci è stata tramandata come un valore prezioso.
“Quale veneto insegnare?”, anche qui purtroppo ci si arena con una facilità disarmante. Sarei curioso di sentire da tanti denigratori del veneto quale è la lingua al mondo parlata uniformemente su tutto il suo territorio. Nessuna, perché tutte le lingue con una antica storia alle spalle hanno forti tradizioni orali e nel tempo si sono caratterizzate localmente con accenti, finali di parole o espressioni tipiche. E con questo? Si tratta di una debolezza e di una prova che la lingua non esiste, o piuttosto sono piccole ricchezze che arricchiscono un patrimonio linguistico?
Il concetto è semplice: anche per il veneto ci si accorderà per una variante di riferimento, esattamente come è stato fatto per la maggioranza dei casi nel mondo, lasciando facoltà alle varianti locali di venire insegnate assieme parallelamente, evidenziando i punti in comune o le differenze ove possono emergere. E’ così difficile da comprendere?
Insegnare il veneto a scuola è una proposta che arriva tardi, dopo 143 anni di censura e svilimento continuo e pesante da parte della scuola italiana. Insegnarla per qualche ora nei programmi scolastici significa riscoprire la nostra anima, i valori di chi è venuto prima di noi e, diciamolo, significa tornare a volerci bene, finalmente! Perché per troppo tempo siamo stati additati come i veneti-egoisti, i veneti-razzisti, i veneti-evasori. Ma sa cosa le dico? Io non sono così. La mia gente è differente. La mia gente merita rispetto e se altri popoli ci insegnano che valorizzare la propria lingua insegnandola alle nuove generazioni – come accade in Catalogna da 30’anni – porta benefici e una maggior coesione sociale, oltre che diventare strumento di integrazione con le altre culture, allora io dico ben venga che i nostri figli sappiano chi sono, chi sono stati i loro predecessori e quale è la loro prima lingua madre.
E vedrà, così facendo saremo di nuovo attivi protagonisti in un mondo a cui la nostra cultura può ancora regalare molte ricchezze.
Ma dobbiamo partire da noi, abbattendo preconcetti ed aprendo gli occhi sulla vera realtà delle cose: e cioè che l’insegnamento del veneto è un processo naturale e un diritto che ci spetta, una ricchezza a cui io, personalmente, non voglio più rinunciare.

Davide Guiotto
Ass.ne Veneto Nostro – Raixe Venete
portavoce Coordinamento Associazioni Venete CAV

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L’identità e la cultura del popolo veneto

Egregio direttore, mi permetta di comunicare l’amarezza provata dalle parole che uno studioso padovano ha scritto in questi giorni al “Gazzettino”, a riguardo de “L’improbabile unitarietà dei veneti”.

Egregio direttore,

mi permetta di comunicare l’amarezza provata dalle parole che uno studioso padovano ha scritto in questi giorni al “Gazzettino”, a riguardo de “L’improbabile unitarietà dei veneti”. Mi permetta però, da laureato in storia veneta, di sottolineare il fatto che ciò che scrive è sì in buona parte vero (anche il sottoscritto, pur non avendo un’età anagrafica avanzata, ha avuto modo di fare una serie di ricerche sull’isolamento e la vita dura dei contadini veneti), ma tutto ciò è appunto una “parte” della storia veneta che si è voluta sottolineare, tralasciando altri e fondamentali elementi, talvolta opposti a questi.

Ricordo a chi non ha letto l’intervento in questione che vi sono affermazioni del tipo di: “lingua veneta dichiarata, questa non esiste”, “fantomatico popolo veneto… semianalfabeta o analfabeta del tutto… i più non sapevano nemmeno di essere veneti…. l’unità (del popolo) che si riferisce in gran parte alla potenza della Serenissima, non c’è mai stata”. Si potrebbero sul piano storico ribattere facendo tutta una serie di rilievi e ricordando una serie di manifestazioni popolari (e non d’èlite come dice il nostro autore) a sostegno dello stato di San Marco minacciato dagli eserciti stranieri, come dopo la sconfitta della Serenissima nel 1509 ad Agnadello o come nel 1809 tutte le insorgenze che avvennero nei nostri paesi contro i napoleonici invasori; quest’anno ricorre il cinquecentenario ed il bicentenario di entrambe, e non sarebbe male ricordare anche queste cose ai veneti di oggi.

Sul piano linguistico basta leggere tutti gli studi del compianto prof. Cortellazzo, recentemente scomparso, il quale se certo sottolineava le differenze presenti nelle varianti locali venete ripeteva spesso che oltre il 90% delle parole venete sono uguali o quasi uguali in tutta la regione, e allora come si può dire che questa non è una lingua? Gli esempi sul piano storico e culturale potrebbero essere molteplici, per non tediare i nostri lettori vorrei invece spostare la questione sul piano del cuore, pieno di tristezza nel vedere come molti cittadini veneti, anche tra i più colti, non sentono o non vogliono riconoscere la loro identità, la loro storia e la loro lingua; presentando la nostra storia unicamente come quella di chi “viveva nella miseria” si fa di certo il gioco di chi, magari avendo una conoscenza sommaria dell’identità del proprio “popolo” (mi permetta direttore una battuta: se non è mai esistito un “popolo veneto”, può mai esistere “un popolo italiano”?) la sfruttano per fini d’interesse di bottega; se era questa la preoccupazione che sta a monte dello scritto del nostro autore, allora essa è sicuramente condivisibile.

prof. Daniele Marcuglia
Zero Branco (Treviso)

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Il veneto è espressione di una Nazione

[…] leggo nel Gazzettino di sabato 31 maggio l’intervento del senatore Maurizio Castro relativo al dibattito sulla lingua veneta e sull’insegnamento della stessa.
Devo dire che, mentre nel passato ho apprezzato alcune lucide analisi economiche del senatore, questa volta le sue tesi mi lasciano alquanto… perplesso.

Egregio Direttore,
leggo nel Gazzettino di sabato 31 maggio l’intervento del senatore Maurizio Castro relativo al dibattito sulla lingua veneta e sull’insegnamento della stessa.
Devo dire che, mentre nel passato ho apprezzato alcune lucide analisi economiche del senatore, questa volta le sue tesi mi lasciano alquanto… perplesso.

Vediamo schematicamente alcuni passaggi:

1) il senatore sottolinea la “falsificazione mitografica di un passato mai esistito (quale la Padania o la celticità del Nord-Italia)” da parte della Lega: condivido. Ma qui stiamo parlando di Veneto, di storia, di lingua e di identità veneta, di un popolo che dal 1.200 a.C. ha plasmato questa terra dandogli il proprio nome.
Il Veneto è, a tutti gli effetti, una nazione storica d’Europa, come la Bretagna, la Baviera, la Catalunya ecc. e come tale va considerata;
2) passa poi a definire la lingua italiana “patrimonio identitario della Nazione, come tale romana e cattolica”. L’Italia è uno stato, non una nazione, e all’interno di questo stato convivono vari popoli, dal veneto al sardo, dal tirolese al ligure. Il tentativo di ridurre tutto questo straordinario patrimonio di culture e di identità a “un popolo, una storia, una lingua” che ha avuto la sua massima espressione nel ventennio fascista ha provocato guasti inenarrabili. In particolare come Veneti, abbiamo avuto la nostra storia, una repubblica indipendente per 1.100 anni che, come scrisse Montanelli fu “una civiltà non italiana (quale la Serenissima mai fu né mai si sentì), ma europea e cristiana”.
3) Il senatore chiude l’intervento auspicando la “riscrittura ufficiale della Nazione nel 2011 in occasione del 150 anniversario dell’Unità d’Italia”. Benissimo, ma si tenga presente che il Veneto entrò a far parte del Regno d’Italia nell’ottobre del 1866, dopo un plebiscito-truffa. Cosa abbiamo da festeggiare noi Veneti nel 2011?
4) E’ sbagliato e ingiusto ricondurre alla sola Lega Nord l’impegno di tante venete e veneti per la difesa e la valorizzazione della lingua veneta; un impegno che parte dalla fine degli anni settanta con la nascita della “Società Filologica Veneta” e che continua fino ai nostri giorni attraverso un arcipelago di movimenti e associazioni solo in minima parte riconducibili alla Lega; anzi per diverso tempo il gruppo dirigente leghista, Umberto Bossi in testa, ha contrastato l’uso della lingua veneta, così come della bandiera veneta in quanto ostacoli all’affermazione di una identità “padana”.
5) Chiudo citando quanto scriveva, oltre trent’anni fa, il Consiglio d’Europa nel preambolo della “Carta Europea delle lingue regionali o minoritarie”, ove si afferma il “il diritto delle popolazioni ad esprimersi nelle loro lingue regionali o minoritarie nell’ambito della loro vita privata e sociale costituisce un diritto imprescrittibile” e più avanti “la difesa e il rafforzamento delle lingue regionali o minoritarie nei vari paesi e nelle varie regioni d’Europa, lungi dal costituire un ostacolo alle lingue nazionali, rappresentano un contributo importante all’edificazione di un’Europa basata sui principi di democrazia e di diversità culturale”.

Ettore Beggiato

Studioso e ricercatore

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Le ragioni dell’unità del popolo veneto

Ho letto con ritardo l’intervento del 6 maggio di Ugo Suman, il quale sostiene che la lingua veneta non esiste perché vi sono delle differenze fra una città e l’altra, e alla fine sembra pensare che non possiamo parlare neppure di una cultura e di un‘identità del popolo veneto. È come affermare che non esisteva un’identità greca perché i dialetti della Grecia antica erano simili ma non identici.

di Sabino Acquaviva – sociologo

Ho letto con ritardo l’intervento del 6 maggio di Ugo Suman, il quale sostiene che la lingua veneta non esiste perché vi sono delle differenze fra una città e l’altra, e alla fine sembra pensare che non possiamo parlare neppure di una cultura e di un‘identità del popolo veneto. È come affermare che non esisteva un’identità greca perché i dialetti della Grecia antica erano simili ma non identici. Per fortuna quella che viene ricordata come la coinè, cioè l’unificazione dei vari dialetti, ha dato vita al greco antico e a una civiltà millenaria.
I vocabolari di greco antico che si usano a scuola sono la fotografia di questa convergenza di più dialetti in una lingua unitaria, e confesso che questa situazione era la mia disperazione quando studiavo e traducevo dal greco, perché molto spesso le parole avevano due o tre significati (e viceversa), diversi appunto perché provenienti, all’origine, da dialetti differenti. Per questa ragione uno stesso testo finiva per essere tradotto in maniera completamente diversa da studenti differenti.
Con il dominio romano l’identità culturale e linguistica si trasformò in un’unificazione politica che permise ad uno stato greco unitario di essere capace di durare altri mille anni, cioè fino alla conquista di Costantinopoli da parte dei turchi.
Ma per sostenere la tesi che non esiste un popolo veneto, Suman porta degli argomenti che se fossero validi condurrebbero alla conclusione che non esistono popoli con una loro identità. Ma per fortuna lui stesso osserva che “la storia può essere raccontata in tante maniere, ognuno ne coglie la parte che ritiene più adeguata alla sua verità o alla sua ‘supposta’ verità”. Ho sempre apprezzato e spesso ammirato la difesa di Suman del dialetto padovano, ma anche per questo non capisco il suo desiderio di rifiutare al popolo del Triveneto un’identità culturale, una parziale identità linguistica, una forte presenza nella società europea e mediterranea.
Non so se i veneti si sono mai sentiti un popolo, ma credo che comunque lo fossero. Mi ricordano un po’ la vicenda dei rumeni che, quando nacque la Romania, dovettero scoprire la propria identità latina dopo aver trascorso secoli interi senza rendersi conto della propria origine e del significato dei secoli più lontani della loro storia. Inoltre, non so se gli abitanti delle campagne del Veneto erano più in miseria, come sembra ritenere Suman, di quelli della Catalogna, della Provenza, della Baviera, ecc., non so se avevano più o meno coscienza di essere un popolo, ma penso che oggi questa coscienza si faccia strada da molti punti dei vista. La costruzione dell’Europa unita, come tutti sanno, passa attraverso la riscoperta dell’identità delle culture regionali preesistenti all’emergere devastante dei nazionalismi dell’800 e del ‘900. In quei due secoli le culture di singole regioni divennero culture nazionali, e quindi andarono parzialmente distrutte o soffocate molte culture e lingue regionali come quelle basca, catalana, provenzale, veneta e via dicendo.
Ha ragione Suman, il popolo spesso viveva nella miseria, molte volte sfruttato, dimenticato, ma mi auguro che parli del popolo europeo, anzi dei popoli d’Europa, non soltanto di quello veneto. Oggi il popolo veneto, che prende coscienza della sua identità, come altri popoli europei lavora per costruire al proprio interno una coinè linguistica, e così partecipare alla costruzione dell’Europa dei popoli contro ogni nazionalismo, e ha diritto anche ad una sua lingua unitaria. Ricordo quel che mi diceva mio padre a proposito dei soldati italiani che occuparono la Dalmazia nel 1941: un suo amico veneto andò al ristorante chiedendo una forchetta, nessuno capiva l’italiano, nè sapeva cosa portare, ma quando chiese un piron il cameriere, che era un veneto-dalmata, comprese immediatamente. Tutti i presenti percepirono l’esistenza dell’unità linguistica dei veneti con i dalmati di allora. Certamente, il vicentino è diverso dal triestino, il veronese dallo zaratino che (con la guerra ridotto a poca cosa) ancora sopravvive, ma nell’essenziale sono eguali e sono espressione di una cultura e di un’identità che li unisce, e per questa ragione torno a chiedere che la lingua veneta venga insegnata a scuola. Non so se i vocabolari potranno tener conto delle differenze locali, se una coinè potrà riferirsi soprattutto al veneziano, sono però certo che anche questo lavoro di unificazione linguistica servirà a rafforzare l’identità di un popolo, di chi fece parte di una repubblica che è stata per secoli una grande potenza, di una letteratura che ha avuto in Ruzante e Goldoni due figure particolarmente significative, di una società che possiede caratteri che sono espressione della sua capacità industriale e commerciale, di un livello tecnologico ed economico che ha antiche radici nella storia ed è, anch’esso, parte dell’identità di quel popolo. Adoperiamoci per la nascita degli Stati Uniti d’Europa, ma ricordando che l’unificazione dei popoli del continente richiede anche l’indebolirsi delle identità nazionali e dei nazionalismi, che tanto sangue ci hanno obbligato a versare, e sono ancora un pesante ostacolo alla realizzazione del sogno di un’Europa unita nel nome dei popoli che la compongono.

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Un Popolo che muore…

[…] perché lingue minori come l’estone, la lettone, la lituana, la danese, l’olandese, ci sono ancora e la lingua veneta, che ha molti più parlanti “, ed ha la dignità di una lingua che è stata lingua internazionale, lingua franca, parlata e scritta in diversi stati, anche fuori d’Italia,” non è riconosciuta?…

Prefazione di Sabino Acquaviva al libro Gli Ultimi Veneti – di Gianfranco Cavallin

Questo libro racconta la storia di un popolo che muore, ma lo fa mentre qualche cosa ancora vive di quel popolo, anche se forse si tratta soltanto dei relitti di un naufragio. Tuttavia, l’interesse del libro è proprio, o meglio anzitutto, in questo fatto. Leggere le pagine di Cavallin suscita sentimenti contraddittori,e forse è questo il loro fascino. Si segue con raccapriccio la distruzione di uno stato, anzi di un impero, quello veneziano. La prima parte è una specie di sintesi di eventi politici e militari che hanno segnato il destino successivo di queste terre. Ma insieme alla Repubblica di Venezia, e questa è la cosa più triste, si capisce che si perde l’identità del popolo veneto, lentamente ma inesorabilmente. Di fronte alla tragedia che stiamo vivendo, Cavallin si pone subito le domande chiave. La prima: “perché è scomparso uno stato importante come la repubblica veneta? “ La seconda: “perché lingue minori come l’estone, la lettone, la lituana, la danese, l’olandese, ci sono ancora e la lingua veneta, che ha molti più parlanti “, ed ha la dignità di una lingua che è stata lingua internazionale, lingua franca, parlata e scritta in diversi stati, anche fuori d’Italia,” non è riconosciuta?”
Certamente, la causa prima di tutto questo è nell’obbrobrio del trattato di Campoformio. E questo fu opera di Napoleone primo, il distruttore della repubblica di Venezia. E pensare che qualcuno ha proposto, ignorando la storia, di erigere un monumento a memoria di chi ha sepolto, insieme la repubblica di Venezia, la sua specficità culturale e la sua lingua, saccheggiando e trafugando i tesori più preziosi della repubblica. Ma Cavallin, nel suo libro, cita anche la storia della. diaspora, del disperdersi dei Veneti nei diversi paesi del mondo. E questa, che a un lettore disattento può apparire una semplice cronaca, ha un significato molto più consistente.
Anzitutto perché sottolinea la sopravvivenza e la forza di una lingua e una cultura. All’estero, forse molto più che in Italia e nel Veneto, l’identità veneta sopravvive ed è amata, difesa e coltivata.
In secondo luogo per il valore simbolico di questa diaspora. Gli Ebrei, perseguitati per secoli, dispersi nel mondo, riuscirono a ritrovarsi, a ritornare in Palestina, a ricostruire una loro patria, a far rivivere la lingua e la cultura ebraica. E si trattava di una lingua morta che dopo millenni è ridiventa viva, scritta e parlata.
Gia siamo di fronte alla diaspora del popolo veneto alla fuga dalla propria identità, al processo di italianizzazione, alla perdita progressiva e apparentemente inesorabile della lingua parlata. E noi sappiamo che un popolo perde la sua identità quando appunto rifiuta o semplicemente dimentica la propria lingua.
E allora che fare? Penso che nel libro di Cavallin vi siano le premesse, esposte in maniera magistrale, della rinascita. C’è una diaspora? Ebbene, essa – analogamente a quella del popolo ebraico è capace di annunciare appunto la riscoperta e la rinascita della lingua e della cultura del Veneto.
La lingua sta morendo? Ci sono ancora studiosi e uomini di cultura che possono organizzarsi per riportare il veneto nella scuola, superando le critiche superficiali di molti, anche di chi non riconosce la presenza, anche se in parte potenziale, di una koinè della lingua veneta. È indispensabile che il veneto venga insegnato nelle aule scolastiche, perché una lingua che non venga rivissuta a scuola è destinata a morire. Dunque, bisogna organizzare i venetofoni in difesa della loro lingua, da Gorizia a Rovereto, dall’Istria alla Dalmazia, da Trieste a Perasto. Questo mobilitando le amministrazioni comunali, provinciali e regionali, i centri culturali, ogni altro organismo, per far rinascere il veneto. Cominciando, ad esempio, dai gemellaggi e continuando con radio e televisioni locali, giornali, riviste. Perché, ad esempio, non gemellare Padova e Rovino o Zara piuttosto che Padova e Los Angeles? Perché non contribuire così al salvataggio di una cultura? È impossibile? Non è vero, altri popoli che hanno difeso la loro identità quasi perduta hanno vinto la battaglia, e si pensi alla Catalogna. Difendere le culture regionali è indice di conservatorismo? Anche questo non è vero: la crescita delle culture regionali a danno di quelle nazionali, favorisce, prepara, accelera, la formazione degli Stati Uniti d’Europa, la nostra grande patria di domani, espressione e tutela delle antiche patrie regionali combattute, soffocate, spesso cancellate, dagli stati nazionali.
In conclusione, il libro di Cavallin, raccontando il lento declino di una identità potrebbe essere un primo strumento per la sua riscoperta e la sua ricostruzione. E un contributo indiretto, forse involontario, alla costruzione dell’identità europea.

Sabino Acquaviva

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Lingua e cultura veneta. Dopo la legge, i fatti

La lingua veneta è parlata da tre milioni di persone nel Veneto, forse cinque nel Triveneto, in Istria e in Dalmazia. Non penso sarebbe difficile una politica triregionale di rilancio. Basterebbe andare in Catalogna e imparare.

di Sabino Acquaviva – sociologo
Il 25 aprile? Il 1° maggio? Due feste di questa repubblica. Ma qualcuno ricorda la festa dell’altra repubblica, la festa di San Marco, appunto lo stesso 25 aprile? Pochi, in verità, perché l’unità d’Italia, gestita, nei primi decenni, con il pugno (allora) di ferro dei prefetti, provocò il collasso delle culture e delle identità regionali, che furono quasi dimenticate. Ma ora guardiamo al futuro, agli Stati Uniti d’Europa. Tuttavia, il futuro deve passare per il passato? Certamente, in quanto il riemergere delle identità regionali rafforza l’identità europea. Questo perché indebolisce le identità nazionali che tanto sangue e tante guerre sono costate al continente. Dunque, per costruire il futuro parliamo di culture e identità regionali. Ma nel Veneto che accade? L’identità si è offuscata. È diminuito il numero di quanti parlano la lingua veneta, la difendono, ne promuovono i principi ideali. Si sono perdute antiche tradizioni come appunto quella del 25 aprile, ormai celebrato come festa della repubblica (italiana).
Tutto vero, ma forse il 2008 è l’anno di una svolta che potrebbe diventare storica. La legge approvata dal consiglio regionale dichiara “Il veneto è storicamente la lingua del popolo veneto”. È dunque ufficiale, il veneto è lingua e può essere insegnato “facoltativamente” a scuola. E qui, purtroppo, un primo cedimento: perché facoltativamente? Avete mai visto la lingua di un popolo che, nel proprio paese, venga insegnata facoltativamente?
Certamente, la legge è ambivalente per ragioni politiche e giuridiche obiettive. Ma, a questo punto, chiarito che si tratta della lingua di un popolo, questo popolo deve lottare per la propria lingua. Ma la legge offre altre prospettive positive: “la regione si impegna a favorirne e promuoverne” (del veneto) “l’insegnamento e l’apprendimento, l’informazione giornalistica e televisiva, la creazione artistica, l’edizione e la diffusione di libri e pubblicazioni, eccetera eccetera”.
Ma di tutto questo che cosa accade o è accaduto? Televisione? Radio? Giornali? Dove è l’uso del veneto?
Molto poco, in verità, è seguito alla promulgazione della legge. La lingua è parlata da tre milioni di persone nel Veneto, forse cinque nel Triveneto, in Istria e in Dalmazia. Non penso sarebbe difficile una politica triregionale di rilancio. Basterebbe andare in Catalogna e imparare.
Ma chi fa politica ha molti strumenti in mano che io, ad esempio, non possiedo: può introdurre fin d’ora negli asili, e nei primissimi anni di scuola, dei testi in veneto per i piccolissimi, curandone la diffusione gratuita, agire sulle radio e le televisioni locali offrendo dei contributi per le trasmissioni in lingua veneta. Operare in maniera analoga sui giornali, non dimenticando di influire sulle pubblicazioni, anche periodiche, ma più o meno pubblicitarie di interesse locale, diffondere dei piccoli manuali di storia della regione, promuovere la modifica dei testi scolastici adeguandoli alla storia reale d’Italia e del Veneto e non difendendo la diffusione di testi che raccontano il mai accaduto.
Si contribuirebbe in questo mondo alla riscoperta da parte di coloro che sono nati nel Veneto o che vi abitano, della propria identità linguistica e culturale. Qualche cosa di simile, insomma, a quello che accade agli immigrati in America.
In conclusione, abbiamo una legge che potrebbe permettere di salvare una lingua, una cultura, le tradizioni della repubblica forse più antica del mondo. Una svolta storica, insomma. Cerchiamo, noi abitanti del Veneto, o del Triveneto, di non perdere questo appuntamento con la storia, proposto da una semplice legge regionale: sarebbe una vera tragedia per un popolo e la sua lingua.

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Montecchio (VI): veneto in aula in Consiglio arriva l’interprete

L’azienda, che è di Pistoia, al posto delle parti dialettali dei vari interventi ha scritto fra parentesi «frase in dialetto, incomprensibile»…

La società che effettua le trascrizioni è toscana e non capisce gli interventi

MONTECCHIO MAGGIORE – Il vicesegretario comunale castellano Roberto Borghero nominato «d’ufficio» traduttore dal dialetto veneto all’italiano dei verbali delle sedute consiliari. La decisione è stata presa ieri sera a Montecchio Maggiore, nel corso del consiglio comunale dopo uno scambio di battute fra un consigliere di opposizione, Luciano Chilese, e il vicepresidente del consiglio comunale Tullio Cortivo. Gli interventi in veneto erano stati inseriti nel regolamento grazie ad un’apposita postilla, alcuni mesi fa. Il Comune di Montecchio aveva così seguito l’esempio di altri municipi veneti, primo fra tutti il padovano Piombino Dese. Chilese, come annunciato da giorni, all’inizio della seduta di ieri ha messo in dubbio la validità dei verbali del consiglio precedente, parzialmente non tradotti in quanto la ditta toscana che effettua le trascrizioni non capisce il veneto. L’azienda, che è di Pistoia, al posto delle parti dialettali dei vari interventi ha infatti scritto fra parentesi «frase in dialetto, incomprensibile». «Noi l’avevamo previsto – ha sostenuto Chilese – l’opportunità di parlare in dialetto, che la maggioranza ha preteso di inserire nel regolamento, nella pratica è assurda perché servirebbe un traduttore simultaneo». Assente il presidente del consiglio Claudio Meggiolaro, al quesito di Chilese ha risposto il vice presidente Tullio Cortivo, pure lui di minoranza, proponendo che Chilese prendesse con sè i nastri originali e traducesse le parti di verbale non riportate. Chilese ha obiettato che questo non è suo compito: Cortivo ha quindi incaricato delle traduzioni di eventuali parti incomprensibili ai toscani il vice segretario comunale Borghero, ritenuto dal vicepresidente competente in materia.

Andrea Alba
28 settembre 2010

fonte: corrieredelveneto.corriere.it

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28/11/2010 Manifestazione per il riconoscimento in parlamento della Lingua Veneta

L’Associazione Culturale Veneto Nostro – Raixe Venete sabato 28 novembre 2010 ha organizzato una grande manifestazione a sostegno della Lingua e dell’Identità Veneta a Venezia. Una manifestazione trasversale per chiedere allo stato italiano una maggior tutela e valorizzazione del patrimonio linguistico veneto, a cominciare dal riconoscimento della lingua veneta in parlamento.

E’ stata una manifestazione trasversale, apartitica ma fortemente culturale ed identitaria, per chiedere allo stato italiano una maggior tutela e valorizzazione del patrimonio linguistico dei veneti (in tutte le sue varianti), a cominciare dal riconoscimento della lingua veneta in parlamento. “Crediamo” hanno diachiarato gli organizzatori per voce del presidente Davide Guiotto, “che sia giusto dare finalmente anche al veneto lo status di Lingua riconosciuta, al pari delle altre lingue minoritarie parlate in Italia e già riconosciute dallo stato come il sardo, il friulano, il catalano, il croato e molte altre”.
La lingua veneta gode già di riconoscimenti internazionali da parte dell’Unesco e di molti linguisti e nel 2007 la Regione del Veneto ha riconosciuto lo status di Lingua al veneto attraverso la Legge regionale 8/2007. “Ma questo non basta”, prosegue Guiotto “serve ora una valorizzazione e un sostegno più forti ed incisivi da parte delle istituzioni. Per questo manifestiamo, manon solo: la società veneta scenderà in piazza per rimarcare l’importanza dell’insegnamento della lingua veneta nelle scuole. Come già accade in molte parti del mondo e come dettato dalle convenzioni internazionali per i diritti dei Popoli e delle culture minoritarie – sottoscritte anche dall’Italia – anche noi Veneti abbiamo infatti il diritto di insegnare alle nuove generazioni la nostra lingua madre, vero patrimonio identitario e culturale”.
A dare sostegno all’iniziativa anche il sociologo Sabino Acquaviva: “Il veneto è una lingua che va tutelata e insegnata a scuola, e non un’ora alla settimana, ma massicciamente, quasi come l’italiano. [ … ] Se non viene tutelata la lingua, l’identità muore”. E il mondo sarà più povero.

Alla Manifestazione di sabato 28 novembre erano presenti anche diversi rappresentanti politici veneti, sia di centro destra che di centro sinistra. Anche a loro gli organizzatori si erano rivolti per chiedere con fermezza che, in maniera trasversale, all’interno dei rispettivi gruppi politici iniziassero a sostenere e a concretizzare le richieste culturali che giungono da tempo dal territorio, a cominciare proprio dalla valorizzazione e dal riconoscimento della lingua veneta in parlamento.

“La lingua veneta appartiene a tutti noi ed è elemento di unione e di integrazione anche con altre culture che qui da noi trovano ospitalità, un patrimonio simbolo di una grande civiltà che merita ora un sostegno trasversale e una forte partecipazione popolare”: questo lo spirito che ha animato una manifestazione ben riuscita che ha visto sfilare per le calli di Venezia più di mille persone.

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La Serenissima alza la voce e il veneto diventa Lingua

Il veneto non è più un dialetto: da mercoledì sera è una lingua. Il Consiglio Regionale, a larga maggioranza, ha approvato la legge che tutela e valorizza la parlata dell’ex Serenissima. Solo Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani si sono astenuti. Per il resto tutti d’accordo. Anche sull’istituzione di una festa “ad hoc” per il popolo veneto. Sarà il 25 marzo, giorno della fondazione di Venezia, anche se originariamente era stata fissata per il 25 aprile, giorno di San Marco.

Il Parlamentino lagunare non ha fatto altro che legittimare la realtà: tutti giorni, più di sette persone su dieci parlano in veneto, soprattutto in ambito familiare e nel tempo libero, ma molti utilizzano la lingua dei nonni anche al lavoro. Secondo un’indagine, realizzata da Demos, ben il 78% degli intervistati, nel settembre 1998, affermava di utilizzare «molto» o «abbastanza spesso» il dialetto della propria zona. Otto anni dopo, si osserva un leggero arretramento, ma i numeri rimangono molto alti, confermando l’ampia diffusione della parlata nel Nordest. Oggi, Al dialetto, ricorrono circa tre persone su quattro, quando si incontrano con i propri conoscenti ed amici (74%). Appena inferiore è la frazione relativa all’utilizzo tra le mura domestiche: 71%. E se la diffusione del veneto sfiora l’80% presso la popolazione adulta ed anziana, c’è da dire che si mantiene comunque attorno al 65-67% nelle fasce più giovani. In altre parole, circa due giovani su tre, al di sotto dei trent’anni, continuano a utilizzare il dialetto nelle loro relazioni più strette.

Per molte persone la lingua erede della Serenissima rappresenta – come dicevamo – uno strumento di comunicazione anche sul luogo lavoro: più di quattro intervistati su dieci, infatti, dichiarano di utilizzarlo in ambito professionale. Tre le persone appartenenti al ceto-medio dipendente – tecnici, insegnanti, impiegati – è circa una su tre (35%) a parlare dialetto nei contatti di lavoro, oppure tra colleghi. Ma le percentuali salgono oltre la maggioranza assoluta tra gli operai (57%) e perfino tra gli imprenditori e gli altri lavoratori autonomi: ben il 55%, nella conduzione della propria attività, comunica in dialetto. Certo che il veneto è una lingua soprattutto orale.

Manca la diffusione scritta, anche perché a scuola si scrive nell’idioma di origine toscana: l’italiano. Colmare questo deficit sarà così il compito della legge regionale appena votata: “il veneto è storicamente la lingua del popolo veneto”, questa è la definizione approvata, e la Regione si impegna a favorirne e promuoverne l’insegnamento e l’apprendimento, l’informazione giornalistica e radiotelevisiva, la creazione artistica, l’edizione e la diffusione di libri e pubblicazioni, l’organizzazione di specifiche sezioni nelle biblioteche pubblice, la ricerca, lo svolgimento di attività e incontri per il suo uso e conoscenza. E ancora, nell’ambito dell’istruzione scolastica, la Regione promuoverà e finanzierà corsi di formazione e aggiornamento per gli insegnati, corsi facoltativi di storia, cultura e lingua veneta. La legge detta inoltre regole in materia di grafia ufficiale e di toponomastica, con l’aiuto di una speciale commissione scientifica. Per fare tutto questo servono soldi. Pronti: 250mila euro l’anno per il prossimo triennio.

Molto soddisfatti i consiglieri regionali del Progetto Nordest, Mariangelo Foggiato e Diego Cancian: «La lingua veneta è un pilastro della nostra identità e la sua valorizzazione è una tappa importante nel processo di riappropriazione della nostra sovranità politica e culturale», hanno commentato ricordando come l’iter di questa legge sia partito dal consigliere provinciale di Vicenza Ettore Beggiato (Pne) che il 10 maggio 2005 fece approvare dal Consiglio Provinciale la proposta di legge approdata poi in Consiglio Regionale. Euforici invece i rappresentanti dell’associazionismo venetista, Raixe Venete in testa, che già da tre anni organizzano la festa dei veneti a Cittadella, in provincia di Padova, «Forse oggi il pericolo di estinzione dei Veneti ha visto un’inversione di tendenza decisiva – spiega Patrik Riondato del neonato movimento “Veneti” – grazie all’impegno di tanti patrioti che, in tutti i partiti e nella società civile si sono adoperati» per il riconoscimento della lingua veneta.

Giuliano Zulin

Fonte: Libero – quotidiano


Xe sta fata justìsia
di LUCA ZAIA*
Xe sta fata justìsia. Finalmente pa £a £engoa veneta xe rivà el justo riconosimento. Na roba che ndava fata, parché £a xe £a £engoa dei nostri pàri, noni e antenài. £a xe £a £engoa che nialtri conosìmo fin da quando che semo nati e sto riconosimento pùblico vol dir on mucio pa nialtri veneti. Vol dir riconósar insieme anca £a nostra Storia che po’ £a xe stà que£a de £a Serenìsima Repùblica de Venesia. Na Repùblica che xe nata sol XI seco£o e che, in pì de 1.100 àni de storia, siviltà e cultura, £a ga fato de nialtri xente ùnica, caraterixà da on forte senso de apartenensa a £a nostra tèra e al teritorio indove nialtri se identifichemo. £a Rejon ieri £a se gà donca inpegnà ofisialmente a garantìrghene £a salvaguardia e £a promosión e, fra i tanti pónti de £a £eje, a métar in pie na comisión aposta pa £a so codificasión. Ciapémo sto anùnsio co on mucio de contentésa, parché nialtri co £a £engoa nostra semo cresésti, £a ghemo scoltà e parlà e e£a, cofà na mare piena de amór, £a ne gà conpagnà fin davanti £a porta de scó£a, indove £a gà dovésto pasàr ofisialmente £e consegne a £a £engoa ‘ta£iana. Èco, da qua in vanti l’inpegno nostro el gavarà da ndar so sta diresión, co bèn in testa el modè£o Cata£àn, £a nostra £engoa £a gavarà da èsar insegnà inte £e sco£e e difuxa e parlà in tute £e ocaxión del nostro vìvare de ogni dì. Parché sta roba vorà dir, ‘ncora na volta, tirar fora e sostegner £a nostra identità davanti al centra£ismo e a £a vo£ontà de uniformàr tuti i aspèti de £a nostra vita portà vanti dal goerno romàn”.

* Vicepresidente della Regione Veneto

fonte: Libero
30/03/07


VENETO/REGIONE: CONSIGLIO APPROVA LEGGE TUTELA LINGUA VENETA (ASCA) – Venezia, 29 mar – Via libera quasi unanime (38 si’ e 2 astenuti) del Consiglio regionale del Veneto alla legge di ”tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio linguistico e culturale del Veneto” avanzata in forma congiunta dai due Consigli provinciali di Vicenza e Treviso. Il testo definisce la lingua veneta come ”le specifiche parlate storicamente utilizzate nel territorio veneto e nei luoghi in cui esse sono state mantenute” e impegna la Regione a diffonderne la conoscenza e l’insegnamento a tutti i livelli (compreso quello scolastico con corsi facoltativi per insegnanti in collaborazione con i CSA, Centri Servizi Amministrativi). La legge stanzia quindi 250 mila euro all’anno per sostenere ricerche relative alla grafia ufficiale della lingua veneta e al suo uso, per ripristinare la toponomastica veneta, per istituire speciali sezioni nelle biblioteche pubbliche locali, e per finanziare l’edizione di pubblicazioni specializzate, la redazione di trasmissioni televisive e radiofoniche e incoraggiare la creazione di opere d’arte ispirate alla civilta’ veneta.
Tra le iniziative per valorizzare la lingua veneta la legge prevede anche l’istituzione di concorsi, borse di studio e premi annuali per tesi di laurea sul patrimonio linguistico della regione. Per sottolineare ulteriormente l’importanza della consapevolezza dell’identita’ veneta la legge prevede, inoltre, l’istituzione della ”Festa del popolo veneto” da celebrarsi il 25 marzo, giorno della fondazione di Venezia.
res-muz/sam/sr
Fonte: Asca
29/03/2007


L’INTERVENTO
La lingua veneta deve entrare a scuola
di Leonardo Muraro *
L’approvazione della legge sulla lingua veneta è un’ottima notizia, che non deve essere letta come una concessione ad istanze localiste, ma piuttosto come un salto di qualità nell’affermazione dei diritti all’identità regionale, senza schematismi ideologici di parte. Quella della lingua non è una questione secondaria. Quando si parla d’identità culturale, occorre essere consapevoli che essa si ritrova soprattutto nella lingua, che è il primo e fondamentale strumento di cui una comunità necessita per interpretare la realtà, definire i rapporti interpersonali e costruire il proprio universo simbolico. Detto in altri termini, non essendo mai le diverse lingue pienamente traducibili l’una nell’altra, ciò significa che ogni lingua definisce in modo unico ed irripetibile la cifra culturale e il modo di stare al mondo dei suoi “parlanti”. Per questo i grandi linguisti contemporanei stanno lanciando l’allarme sul rischio di un olocausto linguistico connesso alla perdita delle lingue regionali.

Un fenomeno che trova le sue cause nel bilinguismo disuguale generato da un rapporto non corretto tra Stato e Regioni, dalle politiche monolinguistiche perseguite degli stati nazionali, dalla perdita di prestigio delle lingue locali, dalla mancanza di scrittura, dalla pressione dei media. Occorre capire che il multilinguismo, da sempre presente nell’area veneta, è una risorsa culturale straordinaria.

L’insegnamento della lingua italiana va concepito come complementare e non alternativo alla lingua veneta. Anche la psicologia linguistica spiega che è meglio coltivare una doppia competenza, che peraltro rafforza la capacità di apprendere altre lingue ancora.Adesso, fatta la legge con ampia convergenza delle forze politiche, è opportuno che nelle nostre scuole si dia uno spazio adeguato alla lingua locale. Val la pena di ricordare come buona parte del patrimonio letterario teatrale italiano si componga proprio delle diverse letterature teatrali regionali, in cui fa la parte del leone quella Veneta. Così come molte produzioni poetiche anche contemporanee sono realizzate in lingua regionale. Si pensi al caso emblematico del poeta trevigiano Zanzotto che pratica con esiti straordinari il bilinguismo. Però una lingua non può venire difesa solo negli spazi istituzionali; dobbiamo essere noi cittadini tutti a rinnovarne la vitalità. Anche per questo la nuova legge, che accoglie la proposta presentata dai consigli provinciali di Treviso e Vicenza, assume uno straordinario significato simbolico e politico. Leonardo Muraro

* (Presidente della Provincia di Treviso)


PROGETTO NORDEST
Finalmente una legge per la tutela della lingua veneta
Il Consiglio regionale del Veneto ha approvato a larga maggioranza la legge “Tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio linguistico e culturale veneto.
La legge prevede, in adesione alla “Carta europea delle lingue regionali e minoritarie”, l’organizzazione di corsi per insegnanti, l’edizione e la diffusione di pubblicazioni, la realizzazione di programmi e notiziari radiotelevisivi, l’organizzazione di specifiche sezioni nelle biblioteche pubbliche, l’organizzazione di corsi di storia, cultura e lingua veneta.

La proposta stabilisce, inoltre, la nomina di una commissione di esperti per recuperare gli storici toponimi veneti e per determinare la grafia ufficiale della lingua veneta.

Viene istituita la “Festa del del Popolo Veneto” come giornata di riappropriazione storico, culturale, linguistica, festa che ricorre il 25 marzo, anniversario della fondazione di Venezia.

Profonda soddisfazione è stata espressa dai consiglieri regionali Mariangelo Foggiato e Diego Cancian di “Progetto Nordest”.

“La lingua veneta è un pilastro della nostra identità e la sua valorizzazione è una tappa importante nel riappropriazione della nostra sovranità politica e culturale” hanno detto ricordando come l’iter di questa legge sia partito dal consigliere provinciale di Vicenza Ettore Beggiato che il 10 maggio 2005 fece approvare in Consiglio Provinciale la proposta di legge approdata poi in Consiglio Regionale e testè approvata dall’aula di Palazzo Ferro-Fini.

fonte: il Gazzettino
30/03/2007

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Lingua veneta e lingua catalana: confronto con un altro modello

Qualche giorno fa commentando con un amico catalano la pretesa dei consiglieri di un Comune veneto di poter esprimersi anche in lingua veneta, sbottó: “Beh! …. Qual é il problema!?”, bloccando sul nascere le mie obiezioni sulla traduzione, sulle varietá dialettali, sulla trascrizione ecc.

Qualche giorno fa commentando con un amico catalano la pretesa dei consiglieri di un Comune veneto di poter esprimersi anche in lingua veneta, sbottó: “Beh! …. Qual é il problema!?”, bloccando sul nascere le mie obiezioni sulla traduzione, sulle varietá dialettali, sulla trascrizione ecc.

Effettivamente in Catalogna il problema della lingua é stato affrontato e risolto da parecchio tempo: in tutte le sedi istituzionali: dal parlamento regionale, ai consigli comunali, dalla scuola obbligatoria alle universitá é usata la lingua catalana; accettata/ tollerata anche la lingua castigliana (lo spagnolo). In modo analogo é stato risolto il problema linguistico anche nelle altre regioni della Spagna con lingua propria:: il basco nel Paese basco, il gallego in Galizia, il valenziano a Valenza ecc.

Tutto bene. Se non fosse che solo 35 anni fa in Catalogna e in Spagna la situazione linguistica era molto diversa da qiuella attuale e certamente non migliore di quella che esiste oggi nel Veneto. Durante i 40 anni di dittatura franchista infatti e cioé fino alla morte del dittatore (1975) la lingua catalana era stata proibita in tutti gli ambiti pubblici e ufficiali. In Spagna solo si poteva usare il Castigliano (lo spagnolo); altre lingue o dialetti erano tollerate solo nell’ambito familiare e privato.
Cosí accedde che con l’instaurazione dell’Autonomia nel 1980 la Catalogtna aveva piú della metá della popolazione che non parlava e non capiva il catalano (anche a causa della massiccia immigrazione dalle altre regioni spagnole) e pochissimi catalani erano in grado di scriverlo.

Con la democrazia peró le nuove istituzioni autonomiche catalane (Generalitat e Ayutaments ecc) scommisero fin dall’inizio in maniera determinata e senza mezze termini sulla rinascita della lingua catalana, considerata l’elemento caratterizzante della Catalogna moderna.
Due furono gli strumenti che Jordi Pujol (president de la Generalitat de Catalunya dal 1980 al 2003) subito individuó: la scuola e la televisione.
La scuola: la Generalitat ottenne fin dal principio di poter gestire direttamente la scuola catalana. Con la cosidetta “immersione linguistica”, (copiata da un’altra grande autonomia: Il Quebec), impose la lingua catalana in tutti gli ordini di scuola (dalla materna all’universitá): tutte le materie cioé dovevano essere impartitte in catalano. Si esigeva per conseguenza dagli insegnanti una conoscenza scritta e orale della lingua di livello elevato. Parecchi insegnanti castiglianoparlanti chiesero trasferimento in altre regioni della Spagna, altri aderirono con recettivitá e profitto ai corsi di Catalano organizzati per loro dalla Generalitat..
La televisione. Appena ne ebbe i mezzi e la possibilitá dopo la scuola Jordi Pujolel si dedicó a creare (1983) una rete televisiva catalana in catalano (TV3), seguita qualche anno dopo da una seconda rete (TV33), da contrapporre alle due reti statali allora esistenti in spagnolo TVE1 e TVE2.
Si puó dire che nello stesso periodo in cui Berlusconi creava in Italia le sue tre televisioni commerciali contrapposte alle tre nazioni, in Spagna le televisioni autonomiche, (l’esempio catalano infatti fu subito imitato dal Paese basco, da Valenzia, dalla Galizia ecc.,) si contrapposero alle televisioni nazionali..
La cadena catalana TV3 fu particolarmente efficacie per la “normalizació linguistica” in quanto diede a tutta Catalogna un uso standard del catalano, allora parlato secondo diverse varianti provinciali Sopra tutto diede alla lingua catalana pari dignitá rispetto al castigliano Jordi Pujol qualche anno piú tardi dirá: era importante che i catalani sentissero parlare J.R. (della famosa serie Dallas) in catalano per poterlo usare senza complessi in tutti gli ambiti sociali..

Questa impostazione voluta e portata avanti da Jordi Pujol e dal suo partito CiU per piú di 20 anni, trovó formulazione giuridica nel nuovo statuto catalano del 2006 (v. post del 13/V/10).Di questo citeró solo alcuni estratti dell’art. 6 intitolato: “La lingua propria e le lingue ufficiali”
1. “La lingua propria di Catalogna é il catalano. Come tale il catalano é la lingua d’uso normale e preferente delle amminsitrazioni pubbliche e dei mezzi di comunicazione pubblici di Catalogna ed é anche la lingua normalmente usata come curriculare e di base nell’insegnamento “
2. “Il catalano é la lingua ufficiale di Catalogna. Anche lo é il castellano, che é la lingua ufficiale dello stato spagnolo.
Tutte le persone hanno il diritto d’utilizzare le due lingue ufficiali e i cittadini di Catalogna hanno il diritto e il dovere di conoscerle. I poteri pubblici di Catalogna devono stabilire le misure necessarie per facilitare l’esercizio di questi diritti e il complimento di questo dovere………

Naturalmente il Veneto non é la Catalogna né la lingua veneta é la lingua catalana. I parallelismi tra realta simili servono per conoscere soluzioni efficaci ad analoghi problemi, soluzioni peró che sempre richiedono di essere adattate alle reali situazioni particolari.
Per ritornare ai consiglieri comunali che pretendono di usare la lingua veneta nelle sedute del Consiglio comunale non credo che la loro iniziativa sia ispirata da un progetto linguistico alla catalana. Sanno bene che il veneto non é la Catalogna. Peró non c’e dubbio che la loro presa di posizione é un atto di autoaffermazione come a dire: siamo veneti e per cominciare non ci vergognamo di parlare la lingua che nostra madre ci ha trasmesso con il lattematerno e la maggior parte del popolo veneto tuttora usa. La rinascita di un popolo comincia proprio dal credere di essere un popolo

A nostro giudizio forrse la lingua non é il “fatto differenziale” per il Veneto perlomeno come lo é per la Catalogna Forse sono da individuare altre le caratteristiche quali caratterizzanti l’essere veneto..
In ogni caso pretendere di parlare in lingua veneta nelle sedute del Consiglio comunale mi sembra uno scatto di autostima

Che succederebbe, per es. se si stabilisse il principio, ovvio in Catalogna, che nel Veneto i Veneti hanno diritto di essere attesi negli uffici pubblici anche nella propria lingua materna? O che le persone che vivono nel Veneto hanno il dovere di apprendere la lingua veneta?

Le disposizioni della Generalitat sulla scuola pur tuttavia ancor oggi sono oggetto di controversia in Catalagna: basti pensare che in Barcellona, é possibile iscrivere i propri figli in una scuola dove l’insegnamento delle materie (curriculorare) é in tedesco, il francese, l’inglese, in giapponese, anche l’ intaliano ecc., peró non esiste una scuola il cui insegnamento curriculare sia in castigliano.

Naturalmente Il Veneto non é Catalogna e nemmeno Galizia o Galles.

Dalla Catalogna: Giancarlo Zorzanello

Fonte: www.laltracampana.com

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Venetian spoken here

Although Venetian is routinely referred to as a “dialetto” in Italy, this has become misleading in that it is now widely and unthinkingly interpreted as implying that Venetian is a dialect of Italian.

The language of Venice is older, less artificial and more influential than Italian itself

Although Venetian is routinely referred to as a “dialetto” in Italy, this has become misleading in that it is now widely and unthinkingly interpreted as implying that Venetian is a dialect of Italian. In fact Venetian predates Italian by hundreds of years. It grew naturally and autonomously out of the late Latin spoken in the north-east of the peninsula. Italian, on the other hand, was an artifically created language, based primarily on vernacular Tuscan and the works of Tuscan writers, notably Petrarch, Dante and Boccaccio, and forged by scholars and humanists of the late fifteenth and early sixteenth centuries in an attempt to found a national language, written and spoken, for the entire population of the yet to be unified country. More or less universal knowledge of Italian was only achieved in the second half of the twentieth century.

The robustness of Venetian in the face of the exclusive use of Italian in the media, education system, bureaucracy and the Church, and in a country where other “dialects” are in more rapid decline, is remarkable. The Venetian language remains central to the Venetian identity, but is seldom mentioned other than in the most cursory fashion in the thousands of books and articles about the city and its lagoon. Venetian, which is in many respects as different from Italian as Italian is from French and Spanish, and can be impenetrable for Italians from elsewhere, is still spoken by the majority of Venetians living in the lagoon and also in the Mestre-Marghera conurbation on its western shores.

English words borrowed from Venetian include artichoke, arsenal, ballot, casino, contraband, gazette, ghetto, imbroglio, gondola, lagoon, lido, lotto, marzipan, pantaloon, pistachio, quarantine, regatta, scampi, sequin and zany. “Ciao” – a long-standing contraction of the courteous Venetian salutation “vostro schiavo” (your humble servant) – has now become a global greeting.

Given the importance of Venetian throughout Venice’s history and in the present everyday life of the city, it is surprising that no continuous account of Venetian from its origins to the present has before been written in any language. Consequently, A Linguistic History of Venice, whose author, Ronnie Ferguson, is head of modern languages at the University of St Andrews and had the inestimable benefit of a Venetian-speaking mother, should become essential reading not only for historians of Venice, but also those interested in the development of Romance languages in general. Although parts of the book are fairly technical, it is structured in such a way that all readers should find it easy to navigate the most specialized sections without losing the thread of the enlightening and lucidly written overall narrative.

Ferguson traces the origins of Venetian to the vernaculars that developed during the Dark Ages on the mainland surrounding the lagoon. These gradually merged into a common language as mainlanders migrated to the islands of the lagoon. Nonetheless, as late as about 1500, the Venetian diarist Marin Sanudo noted that the fishermen of the area around the San Nicolò church in the south-west of the city were still speaking a distinct dialect called “nicoloto”. Even today, instantly recognizable variations of standard Venetian can be found on the island of Burano in the north-east of the lagoon and Pellestrina and Chioggia to the south-west of the city. And some small differences can distinguish speakers from Cannaregio, Castello and the island of Giudecca. A major factor in the survival of Venetian against the incoming tide of Italian is that it is spoken with pride by all classes of society. Some of the purest Venetian is spoken by the least educated on the one hand, who have little contact with Italian speakers, and the most educated on the other, who are acutely aware of correct Italian (often referred to in Venetian as “Tuscan”) and correct Venetian and carefully avoid contamination between the two. The day-to-day speaking of Italian in Venetian homes, once rare, is unquestionably on the increase (especially where a partner is not Venetian). However, many children who do not speak Venetian at home quickly learn the language from their playmates and school friends. Immigrant workers from Eastern Europe and elsewhere are picking up the language in the workplace, unexpectedly adding to the number of speakers.

The first examples of written Venetian go back to around 1200, and Ferguson offers a series of varied and well-chosen literary and other texts (with English translations) charting the evolution of the language. Curiously, it was a Venetian, Cardinal Pietro Bembo, with his Prose della volgar lingua, published in 1525, who was the most influential early codifier of the new Italian language. During this period Venice was becoming the epicentre of publishing in Italian. Literate Venetians readily adopted Italian as a written language, which in many ways superseded the role that Latin had previously played (although Latin persisted in the more conservative realms of the chancery and Church). Even as Venetians read increasingly in Italian, written Venetian continued to be used in personal and business correspondence, practical manuals, diaries, histories and wills, while spoken Venetian remained the language of government and the courts, religious, philosophical and scientific discourse.

Literary energies in Venetian were more consistently directed towards verse and drama than prose – understandably, as Ferguson points out, given that poetry and theatre were closer to the world of speech than works intended to be read on the page. And as poetry and drama were available to the literate and unlettered alike, the spoken word was constantly enriched by these literary works. The first authoritative dictionary of Venetian, by Giuseppe Boerio, which was in advance of its times in its unprudish inclusion of slang and vulgar expressions, was published in 1829. One of the aspirations behind Boerio’s large tome was the hope that it would help enrich the Italian language. The 1856 edition, available in facsimile, is still an essential reference work.

No standard orthography of Venetian has ever been established. Different authors follow their own fancies when committing it to paper. Ferguson favours the historically traditional “Goldonian” x to indicate the English z, although a plain z is gaining ground among contemporary local writers. Nor do any of the various systems for writing Venetian follow actual pronunciation closely. For example, the words for “he” and “she”, conventionally written “lu” and “ela”, are actually pronounced “yu” and “eya”. The so-called l evanescente, or vanishing l (initial and intermediate ls tend to disappear between two vowels), is one of the spoken language’s striking characteristics but seldom reflected in orthography. Thus, “fradelo” and “sorela”, brother and sister, are pronounced “fradeo” and “sorea”, while “un libro” (a book) becomes “do ibri” (two books) in the plural.

Ferguson’s book coincides with several new local publications, from Manlio Cortelazzo’s Dizionario veneziano della lingua e della cultura popolare nel XVI secolo (Venetian Dictionary of the Language and Popular Culture of the Sixteenth Century), to Gianfranco Siega’s Par modo de dir (So to Speak), a compendium of idioms and their origins. Siega is also the author, along with Michela Brugnera and Samantha Lenarda, of an etymological dictionary of Venetian, rather pessimistically entitled Il dialetto perduto (The Lost Dialect). But, while he fully recognizes threats to Venetian’s future survival – among them the scientifically flawed, sometimes nonsensical terms of “The European Charter for Regional or Minority Languages”, which seem perversely calculated to undermine rather than protect some of these languages – Ferguson ends his invaluable study on a quietly optimistic note.

Ronnie Ferguson
A LINGUISTIC HISTORY OF VENICE
320pp. Florence: Olschki. 33euros.
978 88 222 5645 4

Source: timesonline.co.uk

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Venetian language in the world

Where is the Venet(i)an language spoken?

Take into account that in English the word “venetian” refers both to the whole Veneto and to the variety spoken in Venice. On the contrary, usually we normal distinguish vèneto (=”venetan” or general venetian) from venesian (=venetian proper or “venician”).

First of all, Venetan is spoken in Veneto (north-east of Italy). Here people speak different variants of this language: Venetian, Veronese, Belunese, Trevigiano and Padovano-Vicentino-Rovigotto.
In big towns, people use a sort of mix based on italian language externally “venetized”, i.e it is not venet(i)an language but venetian dialect of italian language.

Then, Venetan is spoken in the dalmatian Coast, Croatia, where people use a Triestino-Venetian variant brought there by the Serenìsima Repùblica of Venice.

In Rio Grando do Sul, Santa Catarina e Paranà (states of Brasil), about five million people speak a koinè based on ancient Vicentino-Trevigiano variant moderated by other north-italic languages (in the last century immigrants came even from Trentino, Friuli, Lombardia) and influenced by Portuguese. This Venetan koinè is the said to be newest romance language and its speakers call it “Taliàn” , i.e. Italian in opposition to Brasilian, i.e. Portuguese, that is the main language. Indeed, Talian is not Italian!

In the town of Chipilo, Mexico, people speak a Trevigiano-Belunese variant as most of the immigrants came from the town of Segusino, in the northern part of the province of Treviso. It’s influenced by Spanish.

Source: www.sitoveneto.org

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Lingue Minoritarie riconosciute dall’Italia

19 “Lingue Minoritarie Riconosciute” dallo stato Italiano racchiudono in sé un totale di 2.779.000 parlanti, i parlanti in lingua veneta sono 5.100.000. Quasi il doppio. Ma…

Tipologia di Lingua | Località | % | Parlanti

Albanese | Sicilia-Calabria-Puglia-Abruzzo | 1,21 % | 98.000

Carinziano | Udine e provincia | 0,38 % | 2.000

Carnico |Belluno e provincia | 0,66 % | 1.400

Catalano | Alghero e provincia | 44,37 % | 18.000

Cimbro | Verona -Vicenza -Trento e province | N.C. | N.C.

Franco-Provenzale | Valle Aoste – Piemonte | 1,98 % | 90.000

Francofone | Valle Aosta | 0,89 % | 1.780

Friulano | Friuli | 56,32 % | 526.000

Greco | Reggio Calabria – Lecce e province | 0,89 % | 20.000

Ladino | Trento – Belluno – Bolzano e prov. | 1,88 % | 55.000

Mocheno | Trento e provincia | 11,69 % | N.C.

Occitano | Torino – Cuneo – Imperia e province | 4,19 % | 178.000

Provenzale | Torre Pellice (Piemonte 4.573) – Guardia Piemont. (Calab. 1.863) | N.C. | N.C.

Sardo Sardegna | 4,19 % | 1.269.000

Sloveno | Gorizia – Udine – Trieste e province | N.C. | 97.450

Serbo-Croato | Molise | 77,48 % | 2.600

Tedesco | Trentino – Alto Adige | 11 % | 290.000

Walser | Vercelli – Novara e province | 9,6 % |  N.C.

Sinti – Rom | Popolazioni nomadi | 0,79 % | 130.000

VENETO | Veneto | 65,42 % | 5.100.000

19 “Lingue Minoritarie Riconosciute” dallo stato Italiano racchiudono in sé un totale di 2.779.000 parlanti, i parlanti in lingua veneta sono 5.100.000. Quasi il doppio, eppure la lingua Veneta non é riconosciuta dallo stato italiano. E’ una semplice dimenticanza o si tratta di qualcos’altro, magari una forma di razzismo culturale?

Fonte: www.lalbaro.org

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Perché difendere la Lingua Veneta

Non ci sono solo le guerre in quanto tali, le guerre di religione o quelle economiche ma, anche, QUELLE LINGUISTICHE, messe in atto da alcuni popoli o da alcuni gruppi di potere che, DALL’AFFERMAZIONE DELLA PROPRIA LINGUA, traggono energie e potere per dominare sugli altri.
Il New York Times ha pubblicato un lungo articolo sulla drammatica situazione della lingua indonesiana a causa della scelta della classe dirigente indonesiana di usare l’inglese a livello d’una seconda lingua madre. La “question” è come si faccia ad avere due madri, infatti la prima, l’indonesiano, “As English Spreads, Indonesians Fear for Their Language”, sta morendo. In Italia c’è chi si preoccupa della politica d’insegnamento dell’inglese come prima ed unica lingua straniera, in competizione diretta con l’italiano, al punto da insegnare materie curricolari e attivare interi corsi di laurea in lingua inglese. Questa politica è considerata demenziale e autolesionista per l’Italia e la sua identità perché, come si evince dall’articolo, l’italiano non è meno a rischio dell’indonesiano. Di fronte a questi effetti dirompenti e distruttivi si grida contro queste leggi RITENUTE DI TIPO QUASI RAZZIALE PERCHÉ ISPIRATE AD UNA SORTA DI “MANIFESTO SULLA SUPERIORITÀ DELLA RAZZA ANGLOFONA”.

Secondo me anche questo allarme per la possibile scomparsa dell’italiano è di tipo quasi razziale nonché monco: parla solo dell’Italiano come se esistesse solo l’Italiano e non le varie Lingue madri d’Italia: se il principio universale deve essere la salvaguaria della Lingua madre, allora prima di preoccuparci dell’italiano dobbiamo preoccuparci di salvare la Lingua veneta (e le altre Lingue madri degli altri italiani). Forse che l’italiano è una lingua madre?

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Perché il Veneto è Lingua e non dialetto

Il Dr.Gianfranco Cavallin spiega in sintesi in questo estratto perché il Veneto è Lingua e non dialetto.

Affermano i testi scolastici scritti secondo i programmi ministeriali d’Italia che una lingua, per essere considerata “lingua”, deve possedere:

1 – una codificazione: l’insieme di parole che noi usiamo per comunicare il contenuto del nostro pensiero ad un’altra persona. Se tra parlanti ed ascoltatori esiste uno stesso codice, chi ascolta capisce il contenuto del pensiero espresso da chi sta parlando, in caso contrario parlanti ed ascoltatori non si capiranno mai.
2 – un uso scritto: quando la lingua usata per comunicare il contenuto del proprio pensiero viene usata anche in forma scritta (Letteratura, Poesia, Storia, Romanzi, Giornali, Atti notarili, Atti amministrativi, Verbali, ecc.).
3 – un prestigio sociale: quando la lingua è usata a tutti i livelli (fino alle più alte cariche dello Stato).
4 – una dignità culturale: quando una lingua possiede una Letteratura, una Storia, un Teatro.
La Lingua Veneta possiede: codice, uso scritto, prestigio sociale, dignità culturale: /…/ il veneto e il napoletano, che hanno subito una codificazione, possiedono un uso scritto e una grande dignità culturale (si pensi all’opera del Goldoni e del Basile) (M. DARDANO/P. TRIFONE, “Grammatica Italiana con nozioni di linguistica”, Zanichelli, Firenze 1988, p. 30).
Nella Venezia (Triveneto) ci sono più lingue riconosciute che nel resto del mondo: 8 lingue: 3 ufficiali e 5 riconosciute:
Carinziano (UD), 2.000 parlanti, 0,38% della popolazione di Udine è riconosciuto “lingua”;
Carnico (BL), 1.400 parlanti, 0,66% della popolazione di Belluno, è riconosciuto “lingua”;
Cimbro (VR-VI-TN), 650 parlanti; Friulano, (Regione Friuli), 526.000 parlanti, 56,32% della popolazione della Regione, è riconosciuto “lingua”;
Ladino (TN-BZ-BL), 55.000 parlanti, 4,19% della popolazione di Bolzano, 1,69 di quella di Trento, 10% di quella di Belluno, è riconosciuto “lingua”;
Mocheno a Trento: 1.000 parlanti.
Sloveno (TS-GO-UD), 70.000 parlani a Trieste, 9,6% della popolazione di Trieste, 8% di quella di Gorizia, 3% di quella di Udine, è riconosciuto “lingua”;
Tedesco, (BZ e molte zone delle Alpi e Prealpi venete), 282.000 parlanti a Bolzano, 65,43 della popolazione di Bolzano, è riconosciuto “lingua”;
In cosa consiste la differenza tra tutte queste lingue che, tutte assieme assommano a meno di un milione di parlanti e la Lingua Veneta che conta 5 milioni di parlanti nella sola Italia e non meno di 15 milioni di venetofoni nel mondo?
Cosa parlavano i Veneti se udirono per la prima volta l’Italiano nel 1915?: “/…/ (nel Veneto) si cominciò a sentire un nuovo strano modo di parlare, l’Italiano, soltanto nel 1915-18, durante la guerra combattuta sul territorio veneto in seguito all’aggressione italiana all’Austria” (G. MARCATO, Il dialetto come problema sociale e politico, in Schema, n.5, III-1980, Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova).
Cosa aveva parlato per mille anni il popolo dello Stato forse più importante d’Italia?: “Naturalmente non posso considerare l’avventura di questa città dal momento in cui essa ebbe la sorte di non essere più capitale di uno Stato che fu politicamente ed economicamente forse il più importante d’Italia per circa un millennio” (Feliciano BENVENUTI, “Venezia Ancora”, in Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Tomo CXL (1981 – 82), Venezia 1982, p.223).
… Codificazione, uso scritto, prestigio sociale, dignità culturale: “/…/ (il Veneziano) era la sola lingua parlata a Venezia, da tutte le classi sociali, ed era persino la lingua ufficiale negli affari di Stato, nelle arringhe nel Gran Consiglio ed era la lingua dei tribunali – persino le leggi si stampavano in Veneziano. Il Veneziano non era un dialetto, era una lingua, la sola lingua parlata” (T. W. ELWERT, Studi di Letteratura Veneziana, Venezia 1958, p.165).

Dr.Gianfranco Cavallin
Autore del libro “Gli Ultimi Veneti”

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Normative

La Regione Veneto dal 1999, ha intrapreso la strada che ha portato al riconoscimento della lingua e dell’identità veneta con l’approvazione, da parte del Consiglio Regionale, di una risoluzione (n. 262) che chiede allo Stato italiano di riconoscere il veneto come lingua.

Un passo concreto è rappresentato dalla legge regionale 14 gennaio 2003, n. 3 (pubblicata sul BUR n. 5/2003) che prevede all’art. 22 (Iniziative di promozione e valorizzazione dell’identità veneta) che:

La Giunta regionale promuove e favorisce iniziative di ricerca, di divulgazione e di valorizzazione del patrimonio culturale e linguistico su cui trova fondamento l’identità veneta mediante l’organizzazione di convegni, seminari, mostre, ricerche, pubblicazioni ed eventi finalizzati a far conoscere la complessità culturale e linguistica nella quale si possono riconoscere l’espressione e i segni dell’identità veneta.”

Altro momento significativo è rappresentato dalla legge regionale 13 aprile 2007, n. 8 (BUR n. 37/2007) che si occupa della TUTELA, VALORIZZAZIONE E PROMOZIONE DEL PATRIMONIO LINGUISTICO E CULTURALE VENETO.

Nella sua stesura si sottolinea come, l’importanza del provvedimento è data dalla presenza di una risoluzione del Consiglio d’Europa del 16 marzo 1988, che afferma come “il diritto delle popolazioni ad esprimersi nelle loro lingue regionali o minoritarie nell’ambito della loro vita privata e sociale costituisce un diritto imprescrittibile”.

Da qui l’intervento della Regione, tramite l’opera del Consiglio regionale, che sottolinea come “gli Stati più avanzati e rispettosi dei diritti delle minoranze hanno capito che quando un popolo è cosciente della propria identità, è più disponibile alla comprensione delle culture altrui”.

La legge regionale presenta alcuni aspetti di base della lingua veneta

L’articolo 2, infatti, definisce che cosa è da intendersi per lingua veneta indicando “le specifiche parlate storicamente utilizzate nel territorio veneto e nei luoghi in cui esse sono state mantenute da comunità che hanno conservato in modo rilevante la medesima matrice”.

All’articolo 5 viene poi istituita una Festa del Popolo Veneto: “al fine di favorire la conoscenza della storia del Veneto, di valorizzarne l’originale patrimonio linguistico, di illustrarne i valori di cultura, di costume, di civismo, nel loro radicamento e nella loro prospettiva, nonché di far conoscere adeguatamente lo Statuto e i simboli della Regione” che “ricorre il 25 marzo, giorno della fondazione di Venezia.”.

I restanti articoli disciplinano le azioni che la Giunta regionale può realizzare “al fine di favorire la conoscenza e la diffusione del patrimonio linguistico veneto”.

NOTA: pur essendo stato riconosciuto dalla Regione del Veneto, al momento lo Stato italiano non ha ancora riconosciuto il veneto come lingua.
Le lingue riconosciute dall’Italia – oltre ovviamente all’italiano – sono: friulano, ladino, tedesco, sloveno, occitano, francese, francoprovenzale, albanese, greco, sardo, catalano e croato.

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Le Lingue e le Culture d’Europa

Di seguito è possibile consultare una lista di collegamenti a siti dedicati alle culture cosiddette “locali” vero patrimonio di tutta l’umanità.

WIKIPEDIA IN LINGUA VENETA

Sito dell’enciclopedia Wikipedia tradotta in gran parte in lingua veneta.

https://vec.wikipedia.org/wiki/P%C3%A0xena_prinsipa%C5%82e

Academia Bona Creansa

Ła intende portar ‘vanti ła só mision de revitałizasion e promosion de ła Łengua: Recùparo Patrimonio Łenguìstego Veneto, Disionario, Concorso Łetaràrio, Lettering, Tradusion dei Clàseghi de ła łetaradura, Łengua e Arte, Łengua e Web…

http://www.academiabonacreansa.eu

BASCO

Corso internet di lingua basca

http://servicios.elcorreodigital.com/euskera/

Portale della fonetica della lingua basca

http://www.fonatari.org

BRETONE

Associazione bibliografica della Bretagna

http://www.bibliobretagne.com/appli/navigdewey/NavigDewey.asp?Dewey=88

Portale dell’Ufficio della Lingua Bretone

http://www.ofis-bzh.org

Portale bilinguista della Lingua Bretone

http://www.kervarker.org

CATALANO

Portale dell’Istituto Centrale di lingua Catalana

http://www.iec.cat/arxiu

Pubblicazioni letterarie in lingua catalana

http://publicacions.iec.cat/

CIMBRO

Sito d’informazione generale sui Cimbri, la lingua e la cultura

http://www.cimbri.it

Istituto culturale cimbro di Luserna

http://lnx.kulturinstitut.it

FRIULANO

Il portale della lingua friulana

http://www.lenghe.net

Portale dell’Istituto della lingua ladina e friulana

http://www.istitutladinfurlan.it

Fogolar Furlan Bruxelles – Portale della lingua friulana in Europa

http://www.fogolarbruxelles.eu

Sito della Comunità linguistica friulana

http://friulterm.com

IRLANDESE

Portale per imparare la lingua irlandese

http://www.bnag.ie

Sito che si occupa della lingua irlandese

http://www.gaeltalk.net

Traduttore simultaneo della lingua irlandese

http://www.irishgaelictranslator.com

Portale di lingua e cultura irlandese

http://www.islandireland.com/Pages/irish.asp

Sito con risorse online per conoscere l’irlandese

http://www.islandireland.com/Pages/irish.html

MOCHENO

Sito della lingua e cultura mochena

http://www.bersntol.it

Lingua Mochena su Wikipedia

https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_mochena

LADINO

Istituto culturale ladino

http://www.istladin.net/web/index.asp?id=30

Sito sulle regole della lingua ladina

http://www.vejin.com/lingaz.asp

Sito d’informazione generale sulle terre del ladino

http://www.lauscdiladins.com

Sito d’informazione dettagliata sulla lingua ladina

http://www.ladinart.org

OCCITANO

Rivista elettronica universitaria linguistica Occitana

http://www.revistadoc.org

Dizionario online occitano

http://www.panoccitan.org

Daily press review in lingua occitana

http://www.tvist1.com/newsletter.aspx

Centro Studio Documentazione memoria Orale, Giaglione

http://www.cesdomeo.it

SARDO

Sito d’informazione sulla lingua sarda

http://www.limbasarda.it/ita

Portale della lingua sarda

http://www.sardu.net/

Accademia campidanese di lingua sarda

http://www.acalisa.org

Vocabolario sardo

http://www.vocabolariosardo.it

Dizionario sardo

http://www.ditzionariu.org/home.asp?lang=ita

Portale del Comitato degli operatori in lingua sarda

http://www.comitau.org

SCOZZESE

Portale per imparare lo scozzese

http://www.scots-online.org

Dizionario di lingua scozzese

http://www.dsl.ac.uk/dsl

Sito di letteratura scozzese

http://www.scotstext.org

Sito per insegnare la lingua scozzese ai ragazzi

http://www.scuilwab.org.uk

SUDTIROLESE

Dizionario del dialetto sudtirolese

http://oschpele.ritten.org/

Il Sudtirolese su Wikipedia

https://it.wikipedia.org/wiki/Dialetto_sudtirolese

WALSER

Il dizionario della lingua Walser

http://www.valsesia.it/WALSER/DIZIONARIO/audio-dictionary.htm

Portale della cultura Walser

http://www.walseritaliani.it

ok
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EVETOY – HENETI

Le fonti scritte sugli antichi Veneti sono molte e ben note, distribuite in un ampio arco di secoli e riferibili ai più famosi scrittori Greci e Latini: da Omero a Virgilio, da Tito Livio a Plinio il Vecchio.
I Veneti erano originari del medio oriente, da una regione posta vicino al Mar Nero.
Omero li chiamò “Evetoy” e così i tutti Greci; i Latini li dissero “Heneti” ben sapendo, come ci tiene a precisare Plinio (N.H. 37, 43), che questo termine era la traduzione di quello Greco.
Il significato Greco della parola EVETOY è: degni di lode, o lodevoli.

Luigi “Gigio” Zanon

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Veneto, terra di eccellenze

Più di 8 milioni e mezzo di ettolitri di vino, un vigneto di quasi 80 mila ettari, dei quali oltre 2 milioni prodotti nelle DOC e DOCG: il Veneto è una Regione vitivinicola ai primi posti in Europa per qualità e quantità di produzione.
Non solo terra da vino, il nostro territorio rappresenta un vero e proprio paradiso anche per l’agricoltura. L’enorme varietà di panorami offerti dalla natura rende il Veneto ospite dei microclimi più disparati, dal bosco prealpino alla pianura fertile, fino a scendere verso il mare.

Nel 2016 il Veneto si è confermato la prima regione per turismo in Italia, con ben 17 milioni di turisti accolti.

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Il Veneto oggi

Successivamente, le due guerre mondiali trasformarono la terra veneta in un campo di battaglia, con la distruzione di intere città. Dopo la seconda guerra mondiale, la nuova costituzione repubblicana sancì l’allontanamento del re d’Italia e, nel 1970, si formò la Regione del Veneto come forma di autogoverno, ridotta però a dimensioni minime, privata del Friuli, della Venezia Giulia, e delle genti venete del trentino che sarebbe stato logico accorporare in una macroregione per motivi storici, di cultura uniforme e di lingua (tranne che per il Friuli).

Grazie alla loro proverbiale dedizione al lavoro e al senso di sacrificio che da sempre li caratterizza, i Veneti hanno potuto rimettere in piedi da quel momento la propria economia, tanto da creare un vero e proprio modello industriale e di sviluppo: nasceva così il “fenomeno Nordest”, da molti chiamato anche “la locomotiva d’Italia”.

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Ma la prima fonte economica per il Veneto è senza dubbio il turismo: è la prima regione italiana per flussi turistici.
Fa gli altri primati, i veneti sono primi o ai primissimi posti per solidarietà, per donazione organi e sangue, per riciclo delle immondizie, per accoglienza verso gli stranieri.
L’agricoltura in parte ha perduto l’abbondanza del passato, ma può sempre contare sulla fertilità della pianura veneta.

Il Veneto di oggi si presenta, insomma, come una terra che nutre promesse di rinascita, confidando nella sua enorme energia creativa, nei suoi talenti e nella sua laboriosità, nella valorizzazione sempre più forte della sua cultura e nell’autodeterminazione del suo popolo.

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Fratelli di un Veneto fuori dal Veneto

Non solo nel Brasile, ma anche in Argentina, e altrove soprattutto i Veneti, i lombardi e i friulani, i cosiddetti polentoni (si ricordi che “polenta”, nel rioplatense popolare, è passata a significare forza, coraggio) assieme ai solidi piemontesi ed agli industriosi e parsimoniosi genovesi, hanno fornito, con le luci e le ombre naturali in tutte le cose umane, un contributo di progresso al paese che li ha accolti. Essi hanno conservato nel cuore fin dall’ultimo quarto del secolo scorso il sogno ed il mito della madre patria, della madre-matrigna che li ha abbandonati per più di cent’anni. Loro hanno invece continuato a rimembrarla ed a sognarla nei filò interminabili delle stalle contadine, nell’accorata e discreta intimità familiare, nelle commosse riunioni comunitarie, nelle umili preghiere quotidiane.

Giovanni Meo Zilio

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Un anno pieno di stranezze…

I Veneti combattono convinti e con fierezza fra le truppe austriache a Custoza il 24 giugno 1866, vincendo contro l’esercito piemontese/italiano.
Con altrettanto valore, seppur in numero inferiore e con mezzi militari più scadenti, lottano e vincono anche contro la flotta italiana a Lissa il 20 luglio 1866. Tutti in coro esultano alla vittoria al grido “Viva San Marco!”, storico motto dei tempi della Repubblica Serenissima. Eppure, dopo appena tre mesi, vengono chiamati in tutta fretta ad esprimersi attraverso un plebiscito in merito all’unione delle terre venete con l’Italia: in tutto il Veneto solamente 69 voteranno NO…

Forse varrebbe la pena soffermarsi maggiormente su questo capitolo del nostro recente passato, dalle poche luci e molte ombre, per capire davvero cosa accadde in quell’ottobre del 1866.
Una data che cambiò il nostro destino.

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L’epopea dell’emigrazione Veneta

01mar73Negli anni appena successivi l’annessione all’Italia arrivò un’ondata di povertà mai vista in Veneto: nuove tasse – come la tristemente famosa “tassa sul macinato” – e la leva obbligatoria, che privò le famiglie venete dell’aiuto dei giovani, stroncarono l’economia contadina veneta.

Appena dopo l’unità d’Italia iniziò uno dei più grandi esodi nel mondo: l’epopea dell’emigrazione veneta. I veneti furono costretti ad abbandonare la loro terra e le loro case, in cerca di una nuova vita, dalle foreste del Brasile alle miniere del Belgio, era l’inizio di un’emigrazione dalle dimensioni bibliche: fra 1876 e 1901, su una popolazione di circa tre milioni, dovettero emigrare oltreoceano 1.904.719 Veneti.

27f13625La prima emigrazione organizzata in partenza dal Veneto (in buona parte dalla provincia di Treviso e, in minor misura, dalla Lombardia e dal Friuli, risale al 1875. Infatti a partire da quell’anno cominciarono ad arrivare in Brasile – negli stati di Rio Grande do Sul, Santa Catarina, Paranà, Espirito Santo, e soprattutto nella cosiddetta “zona di colonizzazione italiana” ubicata nel Nordest del primo stato, che oggi ha per centro economico, commerciale e culturale la fiorente città di Caxias do Sul con circa 500.000 abitanti: miracolo di sviluppo e modello di “un altro veneto” trapiantato e cresciuto oltre oceano. Ad esso vanno aggiunte altre correnti emigratorie, soprattutto in Argentina e Uruguay, dove molti italiani erano già presenti da prima, e, in minor misura, in minor paesi come il Messico.

Le cause principali del fenomeno emigratorio furono, com’è noto, la miseria e l’emarginazione delle classi rurali dell’epoca, se non addirittura la fame, insieme al sogno della proprietà della terra da parte dei nostri contadini (allora veri “servi della gleba”), spesso ingannati da fallaci propagande interessate, favorite, a loro volta, dall’ignoranza commista alla speranza che è sempre l’ultima a morire. Ma va tenuto conto anche di quell’insop-primibile spirito di avventura, quell’attrazione verso il nuovo e il lontano che da sempre ha agito sull’umanità e che spesso viene trascurato dagli storici dell’emigrazione.

emigrazione-italiana-nel-900-e1440428431889La traversata atlantica in quell’epoca (nel fondo delle stive) fu da sola una epopea che ancora è presente nella memoria collettiva, tramandata in episodi struggenti nei ricordi dei vecchi e nella copiosa letteratura popolare, soprattutto veneto-brasiliana (canti, poesie, racconti), che, a partire dalle celebrazioni del centenario della prima emigrazione “in loco” (1975), è esplosa qua e là anche in forme stilisticamente pregevoli. Così pure rimane nella memoria collettiva l’epopea delle inenarrabili condizioni di arrivo e di insediamento e le lotte della prima generazione per disboscare a braccia la montagna, per difendersi dagli animali feroci, dai serpenti, dagli indios, dalle malattie, per costruire dal nulla strade e abitazioni, per affrontare continuamente la paura che diventava un’ossessione…

Questa storia di illusioni e di sofferenze, di eroismo e di umiliazioni, questa “storia interna” della nostra emigrazione, che rappresenta il rovescio della storia esterna di cui, più che altro, si sono occupati gli studiosi, è ancora tutta da approfondire.

immigrati_italiani%5b1%5dPer quanto riguarda il sud del Brasile, che può essere considerato emblematico, un primo gruppo di emigrati arrivò, dopo indicibili peripezie e sofferenze a quella che oggi si chiama Nova Milano, nei pressi di Caxias do Sul. Dal porto di Porto Alegre essi proseguivano in barconi lungo il rio Caì e poi a piedi, per chilometri e chilometri, attraverso la selva, con le poche masserizie sulle spalle, facendosi strada a forza di “machete”, fino a raggiungere i terreni loro assegnati proprio nella foresta, a nord dei territori pianeggianti e più fertili occupati dalla emigrazione tedesca 50 anni prima. Si può immaginare il costo umano di tutto ciò dopo che essi avevano tagliato i ponti dietro di sé, vendendo i loro poveri averi prima di partire dall’Italia.

Le tracce della prima colonizzazione si possono vedere ancora oggi in molti nomi di luoghi, come la citata Nova Milano, Garibaldi, Nova Bassano, Nova Brescia, Nova Treviso, Nova Venezia, Nova Padua, Monteberico…; mentre altri come Nova Vicenza e Nova Trento hanno cambiato successivamente i loro nomi originari nei nomi brasiliani di Farroupilha e Flores da Cunha in periodi caratterizzati da xenofobia. Tale xenofobia del governo centrale arrivò al punto che, negli anni dell’ultima guerra, a quei nostri immigrati che non sapevano parlare il brasiliano, fu proibito (pena l’arresto) di parlare la loro lingua veneta, con le conseguenze morali che è facile immaginare, oltre alle difficoltà pratiche (le quali spesso sfociavano nel tragicomico!) che tutto ciò produsse fra quella povera gente emarginata a cui era tolta perfino la parola…

Si tratta comunque di un fenomeno imponente – in Brasile come in Argentina, sia per estensione, sia per popolazione (nell’ordine dei milioni di discendenti), sia per la omogeneità e vitalità – il quale per più di un secolo è stato trascurato se non ignorato dal governo italiano e dalle sue istituzioni.

(tratto da un articolo del Prof. Giovanni Meo Zilio)

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1866, l’anno che cambiò il destino dei Veneti

Nel 1866, al termine della guerra perduta con l’Austria, il Regno d’Italia riuscì comunque a farsi consegnare, grazie alla sua alleanza con la Francia, le terre venete e friulane.
Il 1866 per i Veneti è stato un anno di profondi e radicali cambiamenti sotto tutti i punti di vista: sociale, politico ed economico.

lissaA Lissa la marina austro-veneta combatté e vinse per mare contro la marina italiana/piemontese. Era il 20 luglio e la Battaglia di Lissa passò alla storia come l’ultima grande vittoria della flotta veneta (la maggior parte dei marinai infatti provenivano dalle terre dell’ex Repubblica Veneta): gli ordini venivano dati in lingua veneta e al grido “….daghe dosso, Nino, che la ciapemo” l’ammiraglio Tegetthoff ordinò a Vincenzo Vianello da Pellestrina sul finire della battaglia lo speronamento della corazzata “Re d’Italia”, che affondò di lì a pochi istanti. Di fronte a quella vittoria gli equipaggi veneti risposero lanciando i berretti in aria e gridando “Viva San Marco!!”. Questo era ancora lo spirito delle genti Venete.
Al termine del conflitto, gli austriaci vollero onorare i caduti nostri con un bel monumento, proprio a Lissa, su cui fecero incidere i nomi dei marinai veneziani e dalmati caduti e questo motto: “Uomini di ferro (i marinai veneti, ndr) su navi di legno, hanno sconfitto uomini di legno su navi di ferro”. Quando l’Italia fascista occupò la Dalmazia, tale monumento fu asportato dalla Marina italiana e è ora conservato all’accademia militare di Livorno.
I veneti si erano già scontrati pochi mesi prima, vincendo, contro l’esercito italiano: era il 24 giugno 1866 infatti quando le truppe piemontesi, guidate dal re Vittorio Emanuele II e da Alfonso Lamarmora, dovettero soccombere a Custoza contro quelle austriache, in cui combattevano moltissimi veneti.
Nonostante queste due sconfitte, le truppe italiane di lì a poco invasero le terre venete, approfittando del fatto che gli austriaci si erano ritirati dai nostri territori dopo che i Prussiani avevano vinto a Sadowa e stavano per minacciare Vienna. Di lì a poco si organizzò in tutta fretta per lo stesso anno un plebiscito per chiedere ai veneti se erano favorevoli ad entrare a far parte dell’Italia (a quel tempo Regno).
Il plebiscito (che Montanelli non esitava a definire “una burletta”) si tenne il 21 e 22 ottobre del 1866. Pochi lo sanno, ma il 19 ottobre, quindi un paio di giorni prima delle votazioni, in una stanza dell’hotel Europa sul Canal Grande il generale Leboeuf (plenipotenziario francese e “garante” dello svolgimento della consultazione) firmò la cessione del Veneto all’Italia. Prima ancora del plebiscito le terre venete erano già state cedute ufficialmente agli italiani, il tutto in sordina e senza clamore; solo “la Gazzetta di Venezia” il giorno successivo ne aveva dato notizia, in pochissime righe: “Questa mattina in una camera dell’albergo d’Europa si è fatta la cessione del Veneto”.

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Il Congresso di Vienna e i Veneti

Con il Congresso di Vienna nel 1815 la Veneta Repubblica fu l’unico Stato di grandi dimensioni – travolto da vent’anni di guerre – a non essere restaurato perché l’Austria se ne appropriò. La perdita dell’indipendenza segnò per i Veneti l’inizio di una discesa terribile, fatta di stenti, fame e miseria, condizione che si trascinò fino agli anni ’50, costringendo metà della popolazione ad emigrare in tutto il mondo.

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Napoleone e la Serenissima

Quando nel 1797 Napoleone Bonaparte penetrò nel nord della penisola italiana all’inseguimento delle truppe austriache in ritirata, Venezia si mantenne neutrale. Tuttavia, capìta la debolezza del ricco, florido, ma militarmente debole ospite, egli pensò di impadronirsi delle ricchezze dei Veneti accumulate nel corso dei secoli e di fare dello stato veneziano merce di scambio con gli Austriaci. Si inventò quindi di sana pianta un “casus belli” per imporre la fine del legittimo governo veneto ed istituire uno stato fantoccio, premessa della fine della millenaria Repubblica Serenissima anche come Stato, non solo come istituzione.
Nel marzo di quell’anno il Maggior Consiglio per risparmiare la popolazione accettò le dure condizioni di Napoleone, ignorando che già in aprile a Leoben, in Stiria, la Francia aveva concordato in gran segreto con l’Austria la cessione dei territori veneti.
Sotto le pressioni ormai insostenibile dell'”Attila” Napoleone (così si autodefinì il generale Corso nei confronti della Repubblica Veneta) e per opera di giacobini e collaborazionisti francesi che incitavano la popolazione a rivoltarsi contro la Repubblica Veneta (invano, poiché le municipalità che presero il potere nelle città dell’entroterra lo fecero solo grazie alle baionette francesi e alla non resistenza delle armate venete), il Maggior Consiglio abdicò i suoi poteri con la famosa votazione del 12 maggio 1797, “el xorno tremendo”, per far posto ad un governo filo-francese, chiamato “Municipalità provvisoria“. Questa nuova forma di governo durò pochi mesi, durante i quali per ordine di Bonaparte vennero abbattute le statue con il leone alato di San Marco, storico simbolo dello Stato veneto, e si arrivò perfino a fucilare quelli che gridavano “Viva San Marco!”.
Naturalmente il territorio subì un saccheggio terribile e i veneti furono costretti a vendere persino i panni che indossavano o le fibbie d’argento delle scarpe per far fronte a una tassazione feroce da parte dei francesi.

“Il Secolo XIX ha svuotato Venezia. Le generazioni che l’hanno abitata o visitata nella seconda metà del Settecento hanno visto ciò che gli uomini non vedranno mai più: una massa, una moltiplicazione, un crescendo di splendori inimmaginabili.
Chiese, conventi, palazzi, si addensavano, si stringevano gli uni agli altri, si contendevano il sole nelle vie e nelle strette piazze della città… Dovunque, la grandiosità massiccia delle costruzioni, l’opulenza dei marmi rari, degli ori, degli argenti, la sontuosa bellezza… si univano alla leggerezza, alla proporzione, alla grazia, all’eleganza, allo slancio delle linee e degli ornamenti, ai capricci e alle invenzioni della fantasia, alla bellezza aerea che soltanto lo spirito può cogliere…”.
La Venezia sul cui suolo le truppe del generale Baraguay d’Hilliers mettevano piede (la prima armata straniera nella sua storia) il 15 Maggio 1797, tre giorni dopo l’abdicazione del Maggior Consiglio, la stessa sera in cui l’ultimo Doge lasciava silenziosamente il deserto Palazzo Ducale, era un gioiello di splendezza solare su cui calava un fatale eclisse.
Nessuna guerra l’aveva mai toccata: né gli Unni, né i Franchi di re Pipino, né i Genovesi, né gli Stati Europei confederati nella Lega di Cambrai erano mai riuscitia violare la ben custodita distesa delle lagune. Gli incendi erano stati numerosi, specie nei primi secoli, e ancora verso la fine del Cinquecento il fuoco aveva devastato il Palazzo Ducale, ma il danno che avevano potuto procurare era stato ben poca cosa, di fronte all’ininterrotto accumularsi di ricchezze che aveva fatto di Venezia, nei suoi secoli d’oro, il forziere d’Europa.

Alvise Zorzi, Venezia scomparsa

La fine della Repubblica gloriosa sembrava impossibile a tutti. Il popolo in particolar modo dapprima impugnò le armi contro gli invasori (famoso resta l’esempio delle “Pasque Veronesi”) e poi manifestò in ogni forma il suo cordoglio: celebre è l’episodio di Perasto, cittadina sulle bocche di Cattaro, oggi nel Montenegro, che fin dai tempi antichi custodiva la bandiera dell’ammiraglia della flotta da guerra veneziana. Per secoli era rimasta in vigore l’usanza secondo cui dodici gonfalonieri perastini erano designati a difenderla, fino al prezzo della vita, come accadde a Lepanto, sul ponte della nave.

Convegno “Napoleone Bonaparte e il Veneto” – relatore: avv. Lorenzo Fogliata

Quando nell’agosto 1797 il barone Rukovina volle prendere possesso della cittadina a nome dell’imperatore d’Austria, i perastini chiesero gli onori solenni alla bandiera veneta, e la seppellirono sotto l’altare della chiesa, dopo averla baciata tutti e bagnata di lacrime. Era il 27 agosto 1797 quando il “Capitan de le Guardie” Giuseppe Viscovich seppellì sotto l’altar maggiore del Duomo la bandiera veneta, pronunciando un discorso di grande amor patrio:

lallich-il-bacio-di-perasto-450-jpgPERASTO: il saluto in lacrime alla Bandiera Veneta

27 agosto 1797

Discorso pronunciato a Perasto – oggi importante città dello Stato del Montenegro – dal “Capitan de le Guardie” Giuseppe Viscovich il 27 agosto 1797, quando dovette sepellire, assieme all’intera popolazione in lacrime, il Gonfalone di San Marco, riponendolo momentaneamente sotto l’altar maggiore della del Duomo in attesa del ritorno dell’amata Repubblica:

“In sto amaro momento, in sto ultimo sfogo de amor,
de fede al Veneto Serenisimo Dominio, al Gonfalon de la Serenisima Republica,
ne sia el conforto, o citadini, che la nostra condota pasada,
e de sti ultimi tenpi, rende non solo più giusto sto ato fatal,
ma virtuoxo, ma doveroxo par nu.
Savarà da nu i nostri fioi, e la storia de el zorno
farà saver a tuta l’Europa, che Perasto la gà degnamente sostenudo fin a l’ultimo
l’onor de el Veneto Gonfalon, onorandolo co sto ato solene,
e deponendolo bagnà de ‘l nostro universal amaro pianto.
Sfoghemose, citadini, sfoghemose pur, e co sti nostri ultimi sentimenti
sigilemo la nostra cariera corsa soto al Serenisimo Veneto Governo,
rivolgemose a sta Insegna che lo rapresenta, e su de ela sfoghemo el nostro dolor.
Par trexentosetantasete ani le nostre sostanse, el nostro sangue,
le nostre vite le xè sempre stàe par Ti, S.Marco;
e fedelisimi senpre se gavemo reputà, Ti co nu, nu co Ti,
e senpre co Ti sul mar semo stài lustri e virtuoxi.
Nisun co ti ne gà visto scanpar, nisun co Ti ne gà visto vinti e spauroxi!
E se i tenpi presenti, tanto infelisi par inprevidensa, par disension,
par arbitrii ilegali, par vizi ofendenti la natura e el gius de le xenti,
non Te gavese cavà via, par Ti in perpetuo sarave stàe le nostre sostanse,
el nostro sangue, la vita nostra.
E piutosto che védarTe vinto e desonorà da i tói, el coragio nostro,
la nostra fede se averave sepelìo soto de Ti.
Ma xa che altro no ne resta da far par Ti,
el nostro cor sia l’onoradisima tó tonba,
e el più duro e el più grando elogio le nostre làgreme.”

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Istria e Dalmazia

La dedizione spontanea alla “Serenissima” della maggior parte dell’Istria occidentale e meridionale iniziò nel XII secolo e poteva dirsi praticamente conclusa attorno alla metà del Trecento. L’entroterra istriano centro-settentrionale fu feudo del Patriarca di Aquileia e del Conte di Gorizia (il quale era contemporaneamente vassallo del Patriarca di Aquileia e del sovrano del Sacro Romano Impero) fino al 1445.

Successivamente anche i territori del Patriarca di Aquileia (parte settentrionale dell’Istria interna) entrarono a far parte dello Stato Veneto.

La massima estensione della sovranità veneziana sulla penisola istriana fu raggiunta in seguito all’esito del lodo arbitrale di Trento del 1535, quando Venezia ottenne anche una parte del territorio della villa di Zamasco nei pressi di Montona. Da quel momento, Venezia conservò la sovranità su buona parte dell’Istria fino alla dissoluzione del suo Stato per opera di Napoleone nel 1797.

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Dal ‘300 al ‘600

Alla fine del Trecento l’Istria e la Dalmazia divennero possedimenti stabili. Nel frattempo si aprì una serie di guerre in terraferma che videro la Serenissima prevalere sulle signorie locali, sbaragliando i Carraresi di Padova, gli Scaligeri di Verona, il Patriarca filo-imperiale di Aquileia e persino i potenti Visconti di Milano. Il valore sul campo non fu mai disgiunto da una scrupolosa azione diplomatica e da una calcolata e prudente conduzione politica da parte di organi di governo che al mondo di allora, apparivano il frutto di una perfetta ingegneria istituzionale.

Nel Quattrocento Venezia ha ormai formato il suo Stato, che comprende uno Stato di Terra e uno Stato da Mar estendendo i confini ad est ed ad ovest entro i limiti dell’antica Decima Regio. Lo Stato di Terra andava dall’Adda a ovest all’Istria ad est; Stato da Mar arrivava invece ad occupare tutta la costa dalmata più qualche isola della Grecia. Questo è forse il periodo più splendido e florido per la Serenissima: immense ricchezze si accumulano a Venezia, e ne beneficia tutto lo Stato perché ogni città può esportare in tutto il Mediterraneo e l’Europa del Nord i suoi lavorati e semilavorati.
Il governo veneto è amatissimo da tutti i suoi concittadini e si forma ormai un sentimento nazionale veneto (ma dovremmo dire si riforma) il cui simbolo è il Leone marciano, adottato già nel trecento sulle bandiere.

All’inizio del Cinquecento la Repubblica rischiò di sparire, stretta com’era da potenze ostili nella penisola italiana (che temevano la sua espansione continua) e in Europa. Intere nazioni coordinate dal Papato si allearono contro Venezia, formando la lega di Cambray: fu la prova più terribile per la Serenissima, ma i governati veneti ebbero modo di capire di aver fondato un vero Stato, coeso e unito alla capitale, nonostante le grandi autonomie garantite. Tutto il popolo della terraferma partecipò alla lotta contro l’invasore.
Il Macchiavelli, che si trovava a Vicenza come osservatore, tra l’esercito di Massimiliano d’Asburgo che massacrava “i resistenti” che si opponevano con roncole e forconi ai suoi soldati, vedendo contadini e popolani preferire la morte piuttosto che rinnegare San Marco (mi son marchesco e marchesco vojo morir: gridò orgoglioso un povero villano prima di salire sulla forca) scrisse che Venezia poteva vivere tranquilla e sicura, avendo simili sudditi fedeli. La crisi poi si risolse, sia grazie ai mutamenti di schieramento tra gli avversari, sia grazie al lavoro diplomatico della Repubblica. I territori invasi, praticamente l’intero Stato veneto da Terra, furono liberati.

Con il Seicento però l’attività mercantile cominciò a segnare il passo, per l’invadenza dei turchi che ostacolavano i traffici con l’Oriente e per l’apertura di nuove rotte per le Americhe. Pur minore rispetto ai secoli d’oro, l’attività marittima si mantenne comunque lucrosa e la flotta militare anche nel ‘700 restò tra le più potenti d’Europa. Il patriziato veneziano dimostrò un’incredibile versatilità come imprenditore in terraferma: fu incrementato lo sviluppo agricolo in campagna e il manifatturiero nella Pedemontana.
Iniziò così l’epoca delle Ville Venete.
Il Veneto divenne una delle aree più produttive d’Europa.

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Storia

Storia della Repubblica Veneta / Parte 1

L’identità veneta affonda le sue radici in epoche antichissime, anteriori alle conquiste romane: la civiltà dei Veneti Antichi (o Venetkens), che durò più di 1.000 anni.
Assieme all’avvocato Lorenzo Fogliata andiamo alla scoperta del periodo della Repubblica Veneta – successivo alla civiltà dei Venetkens – faro di civiltà che durò più di 1.100 anni, fino all’occupazione e depredazione napoleonica nel 1797.
Una storia, la nostra, censurata e nascosta dai programmi scolastici; una storia tutta da scoprire e da far conoscere, vero patrimonio che ancora sa insegnare ai giorni d’oggi.
Teniamo viva la nostra memoria storica, riscopriamo la nostra Identità Veneta.

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Storia della Repubblica Veneta / Parte 2

L’identità veneta affonda le sue radici in epoche antichissime, anteriori alle conquiste romane: la civiltà dei Veneti Antichi (o Venetkens), che durò più di 1.000 anni.
Assieme all’avvocato Lorenzo Fogliata andiamo alla scoperta del periodo della Repubblica Veneta – successivo alla civiltà dei Venetkens – faro di civiltà che durò più di 1.100 anni, fino all’occupazione e depredazione napoleonica nel 1797.
Una storia, la nostra, censurata e nascosta dai programmi scolastici; una storia tutta da scoprire e da far conoscere, vero patrimonio che ancora sa insegnare ai giorni d’oggi.
Teniamo viva la nostra memoria storica, riscopriamo la nostra Identità Veneta.

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La Serenissima, un esempio ancora attuale

L’avvocato Lorenzo Fogliata ci porta alla scoperta della Repubblica Veneta, la Serenissima, un esempio ancora attuale.
Andiamo indieme alla scoperta della nostra memoria storica e della nostra identità ascoltando questo Convegno di Storia Veneta, organizzato dall’Associazione “Veneto Nostro – Raixe Venete”

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Indro Montanelli parla di Venezia

Indro Montanelli parla di Venezia in un servizio speciale del TG1 che merita di essere visto.
Era il 1969, ma si erano già capite tante cose su cosa sarebbe successo in futuro.

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La Repubblica Veneta e le sue istituzioni

Viaggio alla scoperta delle istituzioni della Repubblica Serenissima.
Raixe Venete presenta un Convegno dedicato alla Storia Veneta, relatore Cesare Peris.

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Venice, documentary in English

Discovering Venice and it’s great history!

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La Grande Storia dei Veneti contà dal Dino da Sandrà
Parte 1

Cartone Animato realizzato in Collaborazione con il Consiglio Regionale Veneto e LinguaVeneta.it

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La Grande Storia dei Veneti contà dal Dino da Sandrà
Parte 2

Cartone Animato realizzato in Collaborazione con il Consiglio Regionale Veneto e LinguaVeneta.it

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Alla scoperta di Venezia
con Valerio Massimo Manfredi

Valerio Massimo Manfredi ci guida alla scoperta di Venezia, metropoli del passato!

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Tradizioni

Il Dino racconta: el Cao Del’Ano Veneto

Secondo una tradizione antica, il Capodanno Veneto – o Bruxamarso, Batimarso, Fora febraro… – cade il primo giorno di marzo, al risvegliarsi della natura. Il Dino da Sandrà racconta qui la storia del Capodanno Veneto.

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La Storia di Santa Lucia

È una delle tradizioni veronesi più antiche, sentite e partecipate. A Verona, il culto ha assunto caratteristiche peculiari, che lo distinguono dalle altre località nelle quali è festeggiata la Santa.
Si racconta di come le spoglie della santa siracusana, protettrice degli occhi, siano passate da Verona nel loro viaggio verso la Germania intorno al X sec. Ciò spiega anche perchè il culto della santa sia molto diffuso nel nord Europa.
Secondo un’altra ipotesi, il culto di Santa Lucia deriverebbe dal periodo di dominio della Serenissima su Verona. Venezia infatti, già nel 1204, fa trasportare le spoglie della santa nella città lagunare.
A Verona però, il culto assumerà caratteristiche peculiari e si colorerà di folklore e tradizioni locali.

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Venezia, Festa della Sensa

Comune di Venezia Tutela delle Tradizioni in collaborazione con Raixe Venete presenta el video dela Festa della Sensa 2016! La Capital sposa el Mar e da Sant’Andrea vien issà el glorioso vessillo! Una granda giornada piena de cultura e identità! Bona Vision!

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1° marzo “Batimarso”, il Capodanno Veneto

La parola calendario deriva dal latino calendarium, un registro dove venivano iscritti i pagamenti degli interessi o la restituzione dei capitali dei prestiti, che di solito si effettuava il primo giorno dei mesi dei romani, le calende. Se guardiamo allindietro, sono stati molti i calendari e i capodanni che i popoli hanno adottato: per i greci incominciava la seconda metà di luglio; per il calendario lunare dei cinesi si festeggia fra il 21 di gennaio e il 19 di febbraio e in mesopotamia, per fare qualche esempio, lanno cominciava con il plenilunio di primavera. Il capodanno della Serenissima Repubblica Veneta si celebrava invece il primo di marzo. Questa data è antica: pare infatti che fosse un vecchi capodanno europeo e anche linizio dellanno religioso nellantica roma, che lha abbandonato nel 153 a.c. Il More Veneto del 1° marzo trovò la sua fortuna nellarea veneta a partire dai primi decenni dopo lanno 1000, quando inizia a diffondersi rapidamente anche luso di datare i documenti secondo lo stile veneto e questo fino allinvasione francese del 1797. Accanto alle date appariva la dicitura more veneto, per i periodi compresi tra i mesi di gennaio e febbraio che, secondo il calendario veneto, appartengono ancora allanno precedente. In tutto il Veneto i riti ed i festeggiamenti del capodanno veneto assumono molti diversi nomi e sono celebrati in modi differenti. Bati marso, El bàtare marso o Ciamàr marso sono i termini più diffusi ed indicano il rito compiuto dai ragazzini, per sei sere attorno al capodanno, di correre per il paese battendo violentemente bussolotti, lamiere, pentole e coperchi. El Bruxamarso, Piroea o El vivò marso è un rito diffuso un po dappertutto ma trova la sua apoteosi nella pedemontana dove dopo il tramonto i fuochi ornano i crinali delle montagne creando uno scenario spettacolare. El cantar marso invece indicava le canzoni o i motivetti che si cantavano attorno al fuoco oppure andando a batter marso. Era consuetudine, fino allinvasione napoleonica del 1797, che le persone si facessero gli auguri di buon anno fino al nono giorno dopo il capodanno. La Madonna dei Miracoli di Motta di Livenza apparve il 9 marzo 1510 (in piena guerra di Cambray con la Venetia devastata da eserciti tedeschi, francesi e spagnoli) al contadino Giovanni Cigana salutando con le parole Bon dì e bon ano!! I miracoli che accaddero nei giorni seguenti nei pressi del capitello dove apparve la madonna, convinsero il vescovo ed i fedeli a costruire una chiesa al posto del capitello. La chiesa custodisce ancora oggi i documenti originali in latino con le testimonianze riportate rigosamente in veneto dei saluti della madonna “Bon dì e bon àno”.

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“Filo Filo Filò”, rappresentazione teatrale
PARTE 1

Raprexentasion in veneto fata dai putèi de tèrsa de scola elementar a Dovile (VI) el 30 de marso del 2007.
Tegnemo vive le nostre raixe venete, la nostra cultura e la lingua veneta: insegnémoghele a le nove jenerasion.

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“Filo Filo Filò”, rappresentazione teatrale
PARTE 2

Raprexentasion in veneto fata dai putèi de tèrsa de scola elementar a Dovile (VI) el 30 de marso del 2007.
Tegnemo vive le nostre raixe venete, la nostra cultura e la lingua veneta: insegnémoghele a le nove jenerasion.

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Traduttore veneto de “el Galepin”

VENETO » italiano & inglese

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Di seguito è possibile ricercare parole traducendole istantaneamente
fra Veneto – Italiano – Inglese.

Puoi inserire una parola o una parte (“inizia con…”).
L’archivio comprende: 37.000 locuzioni venete, 130.000 locuzioni italiane e 35.000 locuzioni inglesi.

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Dizionario da scarsèla Veneto-Italiano

In questo bel dizionario sulla Lingua Veneta vengono presentate anche curiosità etimologiche, modi di dire, proverbi, indovinelli, frasi di uso comune e tavole illustrative.
Si legge nell’introduzione: “La conservazione e la divulgazione del patrimonio linguistico sono due dei fattori più importanti per la salvaguardia dell’identità di un popolo.”
Il Dizionario è stato curato da Walter Basso.

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Dizionario veneto > italiano | italiano > veneto

Di seguito è possibile visualizzare un folto elenco di parole venete con rispettivo/i termine/i in italiano; inoltre è possibile consultare una lista di termini in italiano con traduzione in veneto.

Questo archivio, di libera consultazione, è frutto di ricerca e catalogazione di Renato Trevisan.

VENETO > ITALIANO


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ITALIANO > VENETO


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Manuale di Grafia Veneta Unitaria

Quanto vi proponiamo di seguito è il manuale di “Grafia Veneta Unitaria”, primo tentativo di normalizzazione linguistica prodotto dalla vecchia Commissione Grafia (insediatasi per DGR n. 4277 del 14 settembre 1994) nel marzo del 1995.
Di fatto però tale documento non portava ad una grafia realmente unitaria. La Legge Regionale n.8/2007 “Tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio storico e culturale veneto” – che di fatto ha riconosciuto ufficialmente il Veneto come lingua – ha previsto all’articolo 10 la costituzione di una apposita “Commissione per la Grafia e la Toponomastica”. Tale Commissione è stata nominata con DGR. n. 287 del 16 febbraio 2010, al fine di recuperare, modernizzare ed internazionalizzare – anche in parte superandolo – il lavoro precedentemente svolto dalla vecchia Commissione, fino a produrre, nel dicembre 2017, il manuale della Grafia Veneta Internazionale Moderna.

 

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Riconoscimento internazionale della Lingua Veneta

logo_unescoUNESCO RED BOOK ON ENDANGERED LANGUAGES (1993-1999)

Il “Red Book of Endangered Languages” (letteralmente Libro rosso delle lingue in pericolo) è un volume pubblicato dall’UNESCO che raccoglie una lista che comprende le lingue del mondo che maggiormente rischiano l’estinzione.
Su iniziativa del Professor Stephen Wurm, Tapani Salminen ha compilato la “Sezione Europea” del volume che comprende anche la lingua veneta come lingua “non a rischio d’estinzione”, ma comunque riconosciuta e tutelata.

Origine e struttura del rapporto

Le lingue erano inizialmente divise in 5 categorie, poi ne fu aggiunta una sesta. Le categorie si dividono in:

1) Lingue estinte, diverse da quelle antiche
Kemi Sámi, Southern Mansi, Polabian, Slovincian, (Old) Prussian, Norn, Gothic, Manx Gaelic, Cornish, Mozarabic, Shuadit (Judeo-Provençal), Zarphatic (Judeo-French), Dalmatian

2) Lingue quasi estinte, parlate al massimo da alcune decine di persone
Ume Sámi, Pite Sámi, Akkala Sámi, Ter Sámi, Livonian, Votian, Italkian (Judeo-Italian), Yevanic (Judeo-Greek), Krimchak (Judeo-Crimean Tatar)

3) Lingue a serio rischio d’estinzione, parlate da più persone, tra le quali non figurano bambini
South Sámi, Lule Sámi, Inari Sámi, Skolt Sámi, Kildin Sámi, Ingrian, Ludian, Vepsian, Western Mari, Kashubian (proper), Molise Croatian, Eastern Frisian, Northern Frisian, Yiddish (Judeo-German), Breton, Leonese, Ladino (Judeo-Spanish), Languedocien, Auvergnat, Limousin, Channel Island French, Istriot, Istro-Romanian, Meglenitic, Arvanitika Albanian, Tsakonian, Italiot Greek, Pontic Greek, Karaim, Crimean Tatar, Cypriot Arabic

4) Lingue a rischio d’estinzione, parlate anche dai bambini ma in numero sempre più decrescente
North Sámi, Karelian (proper), Olonetsian, Erzya, Moksha, Eastern Mari, Udmurt, Permyak, Komi (proper), Tundra Nenets, Lower Sorbian, Upper Sorbian, Burgenland Croatian, Rusyn, Western Frisian, Cimbrian, Irish Gaelic, Scottish Gaelic, Welsh, Asturian, Aragonese, Algherese Catalan, Provençal, Gascon, Walloon, Romansch, Ladin, Friulian, Gallurese Sardinian, Logudorese Sardinian, Campidanese Sardinian, Sassarese Sardinian, Aromunian, Arbëreshë Albanian, Romani, Chuvash, Bashkir, Nogai, Trukhmen, Gagauz, Kalmyk, Basque

5) Lingue potenzialmente a rischio d’estinzione, parlate anche dai bambini ma senza un riconoscimento ufficiale
Belorussian, (Lowland) Scots, Low Saxon (Low German proper), Galician, Francoprovençal, Piedmontese, Ligurian, Lombard, Emilian, Corsican

6) Lingue non a rischio di estinzione, che utilizzano le stesse modalità di trasmissione per le nuove generazioni
Estonian, Finnish, Hungarian, Polish, Czech, Slovak, Slovene, Serbo-Croatian, Macedonian, Bulgarian, Ukrainian, Russian, Lithuanian, Latvian, English (proper), Dutch, Luxembourgian (Moselle Franconian), High German (proper), Alemannic (incl. Swiss German), Bavarian (incl. Austrian German), Icelandic, Faroese, Norwegian, Swedish, Danish, Portuguese, (Castilian) Spanish, Catalan, French, Venetian, (Tuscan & Central) Italian, South Italian (incl. Neapolitan), Sicilian, (Daco-)Romanian, Gheg Albanian, Tosk Albanian, Greek, Tatar, (Osman) Turkish, Maltese.

Link di interesse:

UNESCO: atlante interattivo delle lingue in pericolo
» UNESCO Atlas of the World’s Languages in Danger

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Scrisse Petrarca su Venezia, capitale della Repubblica Veneta

in una lettera del 1321 ad un amico Bolognese:
“quale Città unico albergo ai giorni nostri di libertà, di giustizia, di pace, unico rifugio dei buoni e solo porto a cui, sbattute per ogni dove dalla tirannia e dalla guerra, possono riparare a salvezza le navi degli uomini che cercano di condurre tranquilla la vita: Città ricca d’oro ma più di nominanza, potente di forze ma più di virtù, sopra saldi marmi fondata ma sopra più solide basi di civile concordia ferma ed immobile e, meglio che dal mare ond’è cinta, dalla prudente sapienza dè figli suoi munita e fatta sicura”.

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La Serenissima Repubblica Veneta

La Serenissima Repubblica Veneta costituì un modello di Stato parlamentare e federale unico al mondo, a cui si ispirarono fra gli altri anche i padri fondatori degli Stati Uniti d’America.
Quella Veneta fu la più longeva Repubblica al mondo, durò più di 1.100 anni.

I popoli ad essa annessi lo fecero di loro spontanea volontà. Il termine di “Dominante” che spettava alla capitale è senz’altro fuorviante, se preso nell’accezione moderna, poiché in realtà tra i popoli (diversissimi tra loro) governati e Venezia ci fu soprattutto un vincolo di affetto filiale, nel loro sentimento, e paterno, nel sentimento di chi li governava.
Col tempo la Repubblica pose le proprie basi sulle sponde dell’Istria e della Dalmazia e si rivolse poi all’entroterra, consapevole di rioccupare territori che erano veneti già da millenni. Treviso, ad esempio, fu la primogenita del futuro “Stato de tera” e si “dedicò” alla Repubblica Veneta – cioè chiese ed ottenne di esserne annessa – nel dicembre del 1338.
Venezia assunse questo nome solo nel III secolo e sorse come centro intorno al V secolo con il nome di “Rivo Alto” (Rialto), formando successivamente una federazione con altre città venete della costa adriatica, da Grado a Chioggia. Questa unione politica nel 697 divenne uno Stato unitario con l’elezione popolare – fatto alquanto unico e raro in un mondo in cui imperavano re, sovrani e despoti – di un unico capo, il Doge (duca).
Il Doge era quindi l’espressione dell’arengo, o consiglio dei capifamiglia, tradizione, quella dell’assemblea, che si tramandava dai tempi dei Veneti antichi.

Documento in lingua veneta che spiega in maniera chiara e schematica la struttura delle cariche politiche della Repubblica Veneta, la Serenissima – fornito dall’Ass.ne Europa Veneta:
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La Serenissima, quando da “Dogado” (circoscritto alla Laguna) diventò un vero e proprio Stato, si strutturò come Stato federale.
Ogni città annessa, fosse veneta o meno, era considerata e chiamata “nazione” (la nazione bergamasca, la nazione bresciana ecc.).
Lo splendore della Repubblica fu costruito sulle enormi ricchezze derivanti dal commercio, favorito al massimo in maniera che fosse la principale fonte d’entrata dello Stato, il quale manteneva assai leggera la pressione fiscale sui sudditi. Era promosso e protetto lo sviluppo di ogni forma di Arte e corporazione, ossia le categorie economiche, e all’aprirsi della bella stagione si formavano due enormi convogli marittimi, uno diretto verso l’Asia, l’altro verso l’Oceano Atlantico.
Il proverbiale attaccamento dei cittadini (ma allora si chiamavano sudditi, come oggi gli inglesi) allo Stato Veneto fu la vera forza della nazione; davanti al bisogno della patria tutte le comunità, i popoli e le classi sociali si mobilitavano, greci albanesi slavi che vivevano dentro i suoi confini erano considerati “nazionali” a tutti gli effetti, e così chiamati nei documenti; ognuno aveva diritto a parlare la propria lingua, a reggersi con le proprie leggi, a seguire i propri costumi. Valori e conquiste che sono stati molto spesso cancellati dagli stati cosiddetti moderni, che si spartirono i territori veneti alla caduta della Serenissima.
Per quattro lunghi secoli la Serenissima costituì una diga possente contro la travolgente ondata ottomana che, forte di immense armate, ambiva al controllo del Mediterraneo. Ma Venezia la fermò. Tutti hanno sentito parlare di Lepanto (7 ottobre 1571) la cui vittoria si deve in gran parte all’apporto veneto e alla vittoriosa strategia di Sebastiano Venier, Capitano da Mar della Repubblica Veneta.

Presentiamo di seguito la tesi di laurea di Stefano Danieli

“LA REPUBBLICA DI VENEZIA – tra politica, religione e battaglie (XV-XVI secolo)”

Nel XIV secolo la Repubblica di Venezia si afferma nello scenario italiano e mondiale,
consolidando il suo dominio in numerosi porti ed isole del Mediterraneo orientale,
creandosi così una forte economia. Allo stesso tempo allargò i suoi confini anche verso
l’entroterra veneto, grazie a patti di dedizione e vittorie militari. Venezia a fine 1400 è
al massimo della sua espansione territoriale.
La ricchezza della Serenissima era incalcolabile, tanto da far invidia alle maggiori
potenze europee.

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La “romanizzazione”

I Veneti ottennero la cittadinanza Romana nel 49 a.C., ma mantennero intatta la loro autonomia.
Tutto il Veneto fino alle Alpi, il Friuli (Forum Julii), l’Istria e parte della Lombardia costituirono la Decima Regio – Venetiae et Istriae – dell’ordinamento amministrativo Augusteo.
Con l’avvento del Cristianesimo, anche i popoli Veneti abbracciarono la religione di Cristo.
Fiorente di ricche città (Treviso, Concordia, Padova, Verona, Belluno, Oderzo, Vicenza, Rovigo, ecc.), il territorio soffrì moltissimo delle invasioni Barbariche: molte delle sue popolazioni si trasferirono lungo la zona della fascia costiera, dove, unitamente agli abitanti che già stanziavano nelle Lagune, fecero sorgere la attuale Venezia.

Luigi “Gigio” Zanon

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“Decima Regio – Venetia et Histria“

Attorno al II secolo a.C. iniziò la cosiddetta fase della “romanizzazione”: i veneti non furono mai conquistati dai romani ma ne divennero alleati, accettando di diventare parte integrante del mondo romano. Essendo alleati e non dei vinti, come era d’uso, essi poterono mantenere le loro tradizioni, leggi e costumi anche se tra il secondo e terzo secolo dopo Cristo si perse l’uso della lingua venetica. Il latino che si incominciò a parlare mantenne però la cadenza e certe caratteristiche della lingua antica: ne abbiamo prova perché a Tito Livio, storico padovano, si rimproverava l’uso di un latino non puro.

Sotto l’imperatore Augusto le terre venete divennero la “Decima Regio – Venetia et Histria“, parte integrante dell’Impero Romano, che riconosceva quindi a questa zona un unico connotato culturale.

La caduta dell’impero romano mise il seme della nascita di Venezia, che portò avanti l’ eredità dei padri antichi, nella legge (vedi il “diritto veneto”, che era peculiare e diverso dal “diritto romano”, essendo diverse le fonti e le origini) e nelle tradizioni, dando vita nel contempo ad una nuova civiltà veneta, ammirata e rispettata in tutto il mondo.
I Veneti profughi dall’entroterra fondarono la capitale in laguna. Venezia, la “città dei Veneti“, per un breve periodo iniziale subì l’influenza bizantina, anche se con tutta l’autonomia che le derivava dai suoi nascenti commerci e dalla sua nascente flotta, destinata un giorno a dominare l’intero Mediterraneo.

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Intro

L’identità veneta affonda le sue radici in epoche antichissime, anteriori alle conquiste romane: la civiltà dei Veneti Antichi (o Venetkens), che durò più di 1.000 anni.
Gli antichi veneti avevano sviluppato una loro lingua – il venetico – e passarono alla storia come fra i più grandi allevatori di cavalli del tempo e grandi commercianti di ambra.
Il popolo veneto è uno dei pochi della penisola italiana a vantare un continuum dagli albori della storia, se non della preistoria. Si ha notizia dei primi Veneti insediati nel nord est della penisola, ma in un areale molto più vasto dell’attuale, fin da IX secolo a.C. stando ai rinvenimenti archeologici, dalle situle – vasi funerari in bronzo – ai reperti venetici trovati anche in Slovenia, Istria, nell’attuale Austria – Corinzia, fino ad Adria.
Le teorie sulle loro origini sono contrastanti, ma si inizia ad accettare l’idea (vedi Pallottino, Devoto e altri studiosi) che essi provenissero dal mar Baltico, o comunque dal centro Europa, e che siano giunti nella penisola commerciando l’ambra di quelle zone.
Secondo una nuova interpretazione e traduzione, lo studioso sloveno Matej Bor collocherebbe la lingua degli antichi veneti nell’area protoslava, cosa per la verità non accettata dagli studiosi italiani, che collocano la formazione del venetico in Italia, ritenendolo affine al latino (anche se all’epoca del venetico il latino era ancora in formazione).
Il principale nucleo urbano degli antichi veneti fu senz’altro Este, ove è presente oggi un interessante museo con moltissimi reperti dell’epoca. Altro grande centro della civiltà paleoveneta fu Padova, fondata secondo la tradizione nell’anno 1183 a.C., ben prima di molti altri insediamenti storicamente importanti come la città di Roma, fondata nel 753 a.C..

Approfondimenti:

Alla scoperta dei PALEOVENETI – gli antichi nostri progenitori

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Breve presentazione e storia della Lingua Veneta

Il veneto (nome nativo vèneto) è una lingua romanza usata da alcuni milioni di parlanti in sei stati diversi. Circa la metà dei parlanti si trova nella penisola italiana, nella “Terraferma” della ex-Repubblica di Venezia e principalmente nella regione del Veneto, ma anche in Trentino e Friuli-Venezia Giulia. La metà rimanente si trova all’estero, principalmente in Istria, con comunità minori in Dalmazia, Romania, Brasile, Messico e in varie altre località oggetto di emigrazione.

È tutelata come lingua dalla Regione Veneto (che pure ne riconosce il carattere composito) ma non dallo Stato italiano, che non la annovera tra le minoranze linguistiche, pur essendo compresa fra le lingue minoritarie dall’UNESCO.

La lingua veneta potrebbe essere ritenuta una lingua regionale o minoritaria ai sensi della Carta europea per le lingue regionali e minoritarie, che all’art. 1 afferma che per “lingue regionali o minoritarie si intendono le lingue … che non sono dialetti della lingua ufficiale dello Stato”. Bisogna ricordare che in Europa varianti della lingua veneta sono attualmente parlate, oltre che in Italia, anche in Slovenia, Croazia, Montenegro e Romania.

Il veneto deriva dalla fusione tra latino volgare ed il venetico parlato nella regione, il quale era del resto affine al latino stesso.

Testi in volgare che presentano chiare affinità con il veneto sono rintracciabili già a partire dal XIII secolo, quando in Italia non esisteva ancora un’egemonia linguistica del toscano.

Il veneto, in particolare nella sua variante veneziana, ha goduto di ampia diffusione internazionale grazie ai commerci della Repubblica Veneta, soprattutto nel Rinascimento, diventando per un certo periodo una delle lingue franche di buona parte del Mar Mediterraneo, soprattutto in ambito commerciale. Tuttora molte parole del gergo marinaro sono di origini venete.

Il veneto tuttavia non si impose come lingua letteraria in quanto, già nel XIII secolo, doveva confrontarsi con esponenti letterari di grosso rilievo sia di origine toscana che di origine provenzale. A riprova di ciò è il fatto che Marco Polo dettò a Rustichello da Pisa il Milione scegliendo la lingua d’oïl, allora diffusa nelle corti quanto il latino. Le opere in veneto più significative furono scritte da autori quali il Ruzante (Angelo Beolco) nel XVI secolo, Giacomo Casanova e Carlo Goldoni; in quest’ultimo caso l’uso del veneto era limitato a buona parte delle commedie teatrali, soprattutto per rappresentare il popolo e la borghesia.

Di particolare rilievo per l’utilizzo in ambito scientifico è la stampa nel 1478 de L’Arte dell’abbaco, opera meglio nota in ambito accademico come Treviso Arithmetic, scritta da un anonimo insegnante in lingua veneta, primo testo stampato conosciuto del mondo occidentale di insegnamento dell’aritmetica e della matematica ed uno dei primi testi stampati scientifici di tutta Europa. Esso era rivolto particolarmente all’educazione della classe media e in particolare al mondo mercantile.

La diffusione di questo idioma al di fuori dell’area storica dei veneti si ebbe con il progressivo sviluppo della Repubblica Veneta, che lo utilizzava come lingua ordinaria assieme al latino e all’italiano.

Con il dissolversi della Repubblica, il vèneto progressivamente venne sostituito da altre lingue per gli atti ufficiali e amministrativi. Il suo uso tuttavia perse progressivamente, almeno in parte, i registri letterari e aulici restando sempre come lingua storica e naturale del popolo, riuscendo comunque a raggiungere vette liriche mirabili con poeti come Biagio Marin di Grado. Bisogna anche ricordare il poeta triestino Virgilio Giotti, che poetava in triestino e ordinariamente scriveva in italiano. Inoltre bisogna ricordare Nereo Zeper che ha tradotto l’Inferno di Dante Alighieri in dialetto triestino (variante del veneziano). Si ricorda, tra l’altro, l’Iliade di Omero tradotta in veneto da Francesco Boaretti e in veneziano da Giacomo Casanova; nonché l’opera in veneto padovano intitolata Dialogo de Cecco da Ronchitti da Bruzene in perpuosito de la stella Nova che tratta delle nuove teorie galileiane sul sistema solare, che taluni attribuirebbero a Galileo Galilei con lo pseudonimo di Cecco da Ronchitti. Altri letterati del Novecento che hanno utilizzato il veneto nelle loro opere sono i poeti Giacomo Noventa e Andrea Zanzotto come anche Attilio Carminati ed Eugenio Tomiolo. Si segnalano negli ultimi decenni – per la qualità della loro ricerca anche Sandro Zanotto, Luigi Bressan, GianMario Villalta, Ivan Crico. Notevoli inserti in veneto sono presenti anche nelle opere dello scrittore Luigi Meneghello.

Il progetto concepito da Giuseppe Lombardo Radice di sviluppare ed impiegare testi scolastici in lingua nell’ambito Veneto (come in altri contesti regionali), non ebbe completa attuazione poiché coincise con il periodo fascista, il cui regime era notoriamente impegnato, nella sua opera di forte centralizzazione dello Stato, a promuovere l’apprendimento della lingua italiana in un disegno complessivamente repressivo delle culture locali.

In anni recenti numerosi cantanti e gruppi musicali hanno adottato la lingua veneta per la loro produzione artistica: negli anni sessanta hanno raggiunto una buon successo Gualtiero Bertelli e il suo gruppo Canzoniere Popolare Veneto. Negli anni novanta si sono distinti i Pitura Freska, guidati da Sir Oliver Skardy, che hanno partecipato anche al Festival di Sanremo con la canzone Papa nero, scritta in dialetto veneziano. Più di recente hanno ottenuto una certa notorietà artisti come il rapper Herman Medrano, i Catarrhal Noise e i Rumatera.

Con la Legge Regionale n. 8 del 13 aprile 2007 “Tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio linguistico e culturale veneto”, che si richiama ai principi della Carta Europea delle lingue regionali o minoritarie, pur non riconoscendo alcuna ufficialità giuridica all’impiego del veneto, la lingua veneta diviene oggetto di tutela e valorizzazione, quale componente essenziale dell’identità culturale, sociale, storica e civile del Veneto.

(LA) « [Venetus est] pulcherrimus et doctissimus omnium sermo, in quo redolet tota linguae Grecae maiestas! »
(IT)« [Il veneto è] la lingua più bella e più dotta di tutte, nella quale esala tutta la grandezza della lingua greca! »
Pontico Virunio, umanista ed erudito bellunese (ca. 1460-1520)

Fonte: wapedia.mobi

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Firmata la convenzione per una cattedra di dialettologia a Ca’ Foscari

L’assessore regionale all’identità veneta, Daniele Stival e il Rettore dell’Università di Ca’Foscari, Carlo Carraro, hanno sottoscritto stamane a Venezia, nella sede della Giunta regionale di Palazzo Balbi, una convenzione per l’istituzione presso l’ateneo veneziano di una cattedra di dialettologia.

Assessore Stival: valorizzare la lingua veneta è un fatto culturale, ma anche la difesa di una ricchezza

L’assessore regionale all’identità veneta, Daniele Stival e il Rettore dell’Università di Ca’Foscari, Carlo Carraro, hanno sottoscritto stamane a Venezia, nella sede della Giunta regionale di Palazzo Balbi, una convenzione per l’istituzione presso l’ateneo veneziano di una cattedra di dialettologia.

“Il nostro proposito – ha spiegato Stival – è quello di tutelare, valorizzare e promuovere il patrimonio linguistico e culturale del Veneto. Con questo accordo raggiungiamo un nuovo e importante traguardo in quel percorso iniziato nel 2000 con la creazione dell’assessorato all’identità veneta e proseguito successivamente con l’approvazione di vari provvedimenti e norme che promuovono la conoscenza e lo studio della storia, delle tradizioni, e, per l’appunto, dell’identità del nostro popolo”.
Attraverso questo accordo, la Regione si impegna a sostenere economicamente con 80 mila euro la fase di avvio e sperimentazione del progetto per l’anno accademico 2010-2011. Se, come da tutti auspicato, l’iniziativa darà risposte incoraggianti, il prosieguo dell’insegnamento di questa materia sarà confermato con una successiva convenzione.

Il Rettore Carraro, definendo la convenzione “un atto lungimirante”, ha sottolineato che questa opportunità offerta dalla Regione consente all’Università di cogliere più di un obiettivo: “uscire dal palazzo” e lavorare nel e con il territorio, puntare alla valorizzazione culturale come elemento fondante dal punto di vista formativo, approfondire la conoscenza di una lingua che di fatto ci appartiene.

La cattedra è stata affidata al prof. Lorenzo Tomasin, già in ruolo a Ca’Foscari, che sarà impegnato oltre che nell’attività didattica anche in quella di ricerca dialettologica. Lo stesso Tomasin ha annunciato che proprio in questi giorni è in stampa, grazie al sostegno della Regione Veneto, il libro “Storia linguistica di Venezia” e che altre pubblicazioni stanno per essere completate, arricchendo così il patrimonio di documentazione in questo ambito di studio.

“Posso anticipare – ha detto Tomasin, presente alla sottoscrizione dell’accordo – che già sono pervenute numerose richieste di informazione e di adesione da parte di studenti intenzionati a seguire questo corso di laurea”.
“Ci auguriamo che i risultati della sperimentazione siano positivi e che la cattedra di dialettologia diventi permanente – ha concluso l’assessore Stival – perché, come ha detto lo stesso presidente Zaia, attraverso questo originale laboratorio, possiamo contribuire, nell’interesse dei nostri cittadini, a superare la discriminazione del veneto come lingua madre e a valorizzarla e difenderla come una vera ricchezza”.

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Verso una grafia unica per il Veneto

Nomi tradotti in dialetto per i 581 Comuni E nascerà un dizionario
Grafia unica sui cartelli. Sei studiosi sono già al lavoro

VENEZIA — «Benvenuti a Chioggia-Ciosa». Potrebbe essere un cartello di questo tipo ad accogliere i visitatori nelle città lagunare ed altri, sul genere, potrebbero puntellare presto gli altri Comuni del Veneto. L’idea nasce dalla giunta regionale, che ha istituito nei primi mesi del 2010 la Commissione della grafia veneta, un gruppo di sei studiosi che nei prossimi due anni si dedicherà allo studio dei dialetti regionali, con lo scopo di trovare una grafia standard. «Vorremmo tradurre i nomi di tutti i 581 Comuni della regione – spiega Daniele Stival, assessore regionale all’identità veneta – così chi lo vorrà potrà inserire il nome veneto sotto quello in italiano nei cartelli stradali, in quelli delle piazze e degli spazi cittadini». Ma, ben lungi da pericolose iniziative «fai da te», il procedimento per il doppio segnale dovrà essere unico: «Basterà fare richiesta alla Regione o alla commissione – continua Stival – i Comuni interessati riceveranno così un’indicazione precisa».

Cartelli bilingue, dunque ma anche una precisa ricerca culturale e identitaria portata avanti dalla neo-nominata commissione che avrà anche il compito nei prossimi due anni di dare alla luce il dizionario ufficiale della grafia veneta. «Il dizionario non presenterà il dialetto regionale come un’unica lingua, sarebbe sbagliato oltre che praticamente impossibile – spiega Stival – nelle pagine si troverà piuttosto una sintesi del parlato veneto più diffuso che proporrà, per ogni singola parola, la forma dialettale più usata a livello regionale ma riporterà di seguito anche le diverse cadenze locali ». L’obiettivo, insomma, è quello di definire una lingua scritta comune per tutta la Regione, dando conto però anche delle variazioni linguistiche locali. La commissione che lavorerà al progetto e che deve i suoi natali alla legge 8 del 2007 sull’identità veneta, è stata nominata dalla giunta regionale nei primi mesi del 2010 ma il via ufficiale ai lavori è arrivato solo ilmese scorso.

«I sei studiosi che fanno parte della commissione provengono da mondi diversi tra loro – spiega Stival – alcuni sono docenti universitari di Ca’ Foscari come Rodolfo Delmonte, Lodovico Pizzati e Michele Brunelli, poi ci sono il sociologo Sabino Acquaviva, lo scrittore Gianfranco Cavalin e Davide Guiotto, membro dell’associazione Raixe venete, in rappresentanza delle associazioni venetiste. Lavoreranno insieme per due anni e avranno un grande compito, quello di dare vita ad un codice per mettere per iscritto il vero dialetto veneto». Per iscritto si, ma non soltanto tra le pagine del dizionario. Nei due anni di lavoro che aspettano la commissione, infatti, i sei esperti daranno vita anche ad un dizionario on line inglese-veneto, che non verrà stampato ma sarà disponibile sul web e consultabile quindi da tutti gli interessati. I finanziamenti? Presto per fare i conti: «Si sa che questo tipo di studi sono molto lunghi e complicati – spiega Stival, – inserire a bilancio già quest’anno le stampe del dizionario sarebbe stata una sciocchezza».

Alice D’Este

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Lingua, grafia e toponomastica veneta

Regione Veneto – Si è riunita oggi per la prima volta a Venezia, nella sede della Giunta veneta a Palazzo Balbi, la Commissione di esperti prevista dalla Legge regionale in materia di tutela e valorizzazione del patrimonio linguistico veneto. Compongono la Commissione, presieduta dall’assessore regionale all’identità veneta, Daniele Stival, il sociologo Sabino Acquaviva, i docenti dell’Università di Ca’Foscari Rodolfo Del Monte e Ludovico Pizzati, il linguista Michele Brunelli, lo studioso di lingua veneta Gianfranco Cavallin e il presidente dell’associazione Veneto Nostro Davide Guiotto. Alla seduta d’esordio ha presenziato anche l’assessore al bilancio, Roberto Ciambetti.

Compito della Commissione è quello di fornire un supporto alla Giunta regionale nella realizzazione di iniziative che favoriscano la conoscenza e la diffusione della lingua veneta, garantendo in particolare una corretta definizione della grafia, della toponomastica e di ogni altro aspetto linguistico.
“Il nostro obiettivo – ha sottolineato l’assessore Stival aprendo i lavori – è quello di valorizzare la lingua come vera ricchezza del popolo veneto, come componente irrinunciabile della nostra identità culturale, sociale, storica e civile. Lo stesso presidente Zaia ha più volte evidenziato che la tutela di questo patrimonio rappresenta una questione centrale per lo sviluppo dell’autonomia regionale”.
“Oggi inauguriamo una nuova stagione operativa – ha ribadito l’assessore Ciambetti – attuando compiutamente quanto previsto dalla legge regionale alla quale abbiamo a suo tempo lavorato con impegno e convinzione. Affidiamo un incarico importante ai componenti di questa Commissione, esperti di riconosciuta competenza professionale e culturale nel campo linguistico, sia in ambito accademico, sia in quello della ricerca”.
Gli assessori hanno evidenziato l’importanza che la Commissione si confronti nelle sue attività con le diverse realtà associative e culturali regionali, al fine di condividere il più largamente possibile le iniziative e i progetti finalizzati alla diffusione della lingua veneta, coinvolgendo in questo anche le comunità dei Veneti nel Mondo.

Fonte: VicenzaPiù

07/05/2010

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Dialetti e lingue regionali, non si faccia confusione

Di Sabino Acquaviva – sociologo

Ho letto con sostanziale disappunto l’articolo di Luciano Canfora sul Corriere della sera del 24 maggio dal titolo “Più dei dialetti a scuola insegniamo le lingue nazionali”, in cui si sostengono le vecchie tesi che hanno distrutto le culture regionali scatenando guerre e massacri di cui paghiamo ancora il prezzo di sofferenze e di sangue.
Gli stati nazionali, riconosciamolo, sono stati una sventura plurisecolare per il nostro continente. In una parola Canfora illustra, nel suo articolo, una tesi che a mio parere fa a pugni con la storia.
Come è noto, fin verso il Cinquecento in Europa dominava il latino (come oggi, giustamente, tende a prevalere l’inglese) accanto ad un consistente numero di lingue regionali. In seguito, in ogni area geografica singole lingue regionali hanno prevalso sulle altre, dichiarandosi lingue nazionali e scatenando le lotte e le guerre che sappiamo.
Tutto questo è dimostrato dal cimitero linguistico in cui siamo immersi. Ad esempio il francese del nord ha schiacciato il provenzale, il castigliano ha tentato di annientare il catalano, il toscano (diventato italiano) ha fatto strage di lingue con una tradizione secolare, come il veneto. Eccetera. Ma oggi finalmente tentiamo di costruire gli Stati Uniti d’Europa e la loro nascita è resa più facile dall’indebolirsi degli stati nazionali (e della loro identità, anche linguistica).
In conclusione, l’idea di difendere le lingue regionali (che Canfora confonde con i dialetti), non è né fondamentalista né demagogica come sembra sostenere. Anzi, guarda al futuro di un continente che soltanto unito potrà difendersi da paesi in rapida crescita economica, e con più di un miliardo di abitanti ciascuno, come l’India e la Cina.
Due altre considerazioni critiche di Canfora e di molti altri studiosi vanno prese in considerazione e confutate. La prima: i dialetti (cioè le lingue regionali) cambiano anche all’interno di singole regioni, e quindi sono troppe le varianti linguistiche e la confusione. E allora? Il greco antico non è forse il risultato di tre dialetti? L’evoluzione della società greca, le guerre, lo sviluppo culturale, non hanno dato forse vita alla famosa koinè, cioè a un greco unificato? Perché questo processo non deve essere facilitato e favorito per almeno alcune delle lingue regionali della nuova Europa come il catalano, il basco, il veneto?
La seconda: “Avrebbe semmai più senso far meglio conoscere, in una regione, i dialetti di altre regioni”. Mi sembra poco logico. Anzitutto, non capisco perché dovremmo trasformare i nostri concittadini europei in poliglotti. Inoltre, cosa scegliere? Lingue come il veneto, il siciliano, il napoletano, tutte con una antica tradizione culturale? In specie il veneto, lingua internazionale nel Mediterraneo per secoli, che ha le sue radici in figure come quelle di Ruzante e Goldoni? Oppure il molisano, vero e proprio dialetto?
In conclusione vorrei invitare Canfora, sempre un acuto osservatore, a distinguere fra dialetti e lingue regionali, fra l’Europa del futuro e la baraccopoli, spero in liquidazione, degli stati nazionali.

Fonte: il Gazzettino del 31/5/2009

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